venerdì 27 marzo 2015

SPECIALE MAURIZIO QUARTA

Nel sottobosco underground italiano quello di Maurizio Quarta è un nome conosciuto. Da sempre appassionato di horror, l’artista milanese si cala nei diversi ruoli di regista, soggettista, curatore di effetti speciali, produttore ed attore, mostrando una poliedricità unica nel suo genere. Gran parte delle opere che portano la firma di Quarta hanno subìto rimaneggiamenti tecnici di varia natura e sono dunque disponibili in svariate edizioni, alcune delle quali incluse nelle introvabili raccolte “MQ Horror Compilation” (VHS – 2003), “House Of Experiment” (DVD – 2005),
Putrefaction” (VHS – 2003) e “Neuropatix” (DVD – 2005).
La Casa – The House” del  1982 segna l’esordio del factotum nostrano, qui presente in veste di co-regista, effettista  ed interprete principale. Protagonisti sono due uomini  alle prese con un misterioso individuo armato di macete (interpretato dallo stesso Quarta) e con una maschera da diavolo sul volto. Quindici minuti di delirio totale, girato in Super 8, che mostrano un lavoro estremamente artigianale e tecnicamente piuttosto approssimativo, che funge più che altro da terreno di prova per l’artista italiano. Quest’ultimo, pur nella consapevolezza dei propri limiti, è abile a sfruttare stratagemmi tecnici volti a mascherare le imperfezioni derivanti per lo più dai poveri mezzi utilizzati, riuscendo nel complesso a creare un lavoro sì lacunoso ma capace di rivelare le buone potenzialità dell’autore.
Tra i corti del 1983 spicca “Terror”, di appena una manciata di minuti. Nonostante la brevità del prodotto, che comporta uno sviluppo narrativo molto concentrato, Quarta riesce a sottolineare in maniera efficace quello che sarà uno dei temi ricorrenti affrontati nelle sue opere: la malattia. Colpito da chissà quale terribile morbo, il protagonista è costretto a procurarsi cavie umane per sperimentare una cura che gli salvi la vita. “Terror” riprende le location de “La Casa” e con essa anche l’atmosfera visionaria e onirica, fatta di contrasti cromatici accentuati e ritmi concitati, che lasciano ampio spazio ai momenti più efferati dove a farla da padrona sono come sempre gli ottimi – seppur caserecci – effetti speciali.
Risale al 1991 il primo mediometraggio “L’Iniezione”, girato anch’esso in formato analogico. La pellicola in questione non offre spunti innovativi a livello narrativo, in quanto approfondisce il soggetto portato in scena nei precedenti lavori, ma grazie al minutaggio più corposo, gode di una sceneggiatura più solida e dinamica. Un’ampia fetta del film è dedicata alla rappresentazione delle scene gore, le quali mettono in luce una padronanza dei mezzi più marcata rispetto agli esordi, con risultati più che soddisfacenti. La trama, sebbene estremamente semplice, si snoda attraverso tempistiche più dilatate, che danno modo di creare un’atmosfera crescente di suspance, fino alla sanguinaria esplosione finale. Tra le sequenze degne di nota vi è quella dell’iniezione all’occhio, leitmotiv presente anche in “Anabolyzer” di Roger Fratter (1999),  un film dalle tinte horror-trash (considerato un vero cult dagli appassionati) al quale Quarta ha dato un ampio contributo. “L’Iniezione” vanta anche un ottimo score musicale, debitore delle composizioni dei Goblin che facevano puntualmente capolino nelle pellicole argentiane degli anni ’70, ma anche al Frizzi de “L’Aldilà – E Tu Vivrai Nel Terrore”.
Lo short “Carne Umana” del 1995 segna una sorta di salto di qualità, grazie ad una maggiore perizia tecnica che apre la strada a scelte registiche, di montaggio e fotografia, più accurate ed azzeccate. Questa volta troviamo Quarta nei panni di un sadico squartatore che si ciba della carne delle sue vittime. Colori freddi, tendenti in alcuni frangenti al bianco e nero, incorniciano una storia come sempre minimale, ma pregna di violenza visiva  tra sogno (o meglio, incubo) e realtà. L’approccio generale appare meno sporco rispetto alle opere precedenti, facendo emergere una particolare attenzione alla forma oltre che alla sostanza.
Di diversa impostazione stilistica ma di notevole fattura è “Macabre” del 1999, inserito nella recente antologia “Bizzarro Italiano”, di cui rappresenta l’episodio più professionale e riuscito. Il cortometraggio in questione ripesca il piglio grezzo degli esordi, per dare vita ad un plot malato e disturbante, vagamente ispirato a “Nekromantik” di J.Buttgereit. La vicenda verte attorno ad una donna che sviluppa una malsana “passione” per i cadaveri, a causa di un evento tragico che in passato l’aveva portata a farei i conti con la necrofagia.  Convincente Mara Leoni nei panni della folle protagonista, alle prese con disgustosi smembramenti e svisceramenti vari. Ancora una volta Quarta si dimostra un maestro degli effetti speciali.
Protomorphosis” è un piccolo gioiellino del 2002 che sembra però uscito direttamente dagli anni ’80, grazie alla coraggiosa scelta del regista di appoggiarsi ancora una volta ad un formato di ripresa analogico. Un fotografo viene a contatto con una strana massa informe e pulsante in un bosco e viene contagiato, trasformandosi in un mostro squartatore. Un plot semplicissimo, che funge da pretesto per mettere in scena i goduriosi effetti splatter a cui il regista lombardo ci ha abituati. Una chicca molto vintage e ben realizzata. Tenendo sempre ben presenti tutte le limitazioni del caso in termini di budget e mezzi a disposizione, non si può certamente dire che il cinema di Maurizio Quarta lasci indifferenti. La scelta di restare fedele alla “vecchia scuola”, rinunciando volontariamente all’ausilio delle moderne tecnologie digitali, caratterizza le opere del nostro e ne rappresenta probabilmente l’elemento di maggior fascino: una sorta di “retrogarde splatter” che segna un cammino tutto sommato personale e non scevro da elementi anche registicamente interessanti – come ad esempio l’insistere con le inquadrature in primo piano di corpi sbudellati o di volti in mostruose trasformazioni – comunque preferibile a tanta immondizia mainstream, formalmente accattivante ma in sostanza vuota e priva di identità. Ciò che trasuda da ogni singolo frammento è una passione viscerale (è proprio il caso di dirlo) per un genere – il gore – che da sempre è la declinazione più ludica e meno impegnata del variegato universo horror, alla quale quindi ci si avvicina più con l’istinto che con il cervello. E scusate se è poco.