venerdì 12 dicembre 2014

CLASSIFICA TORTURE PORN

Non è mai semplice stilare una classifica basandosi su una qualche etichetta, perchè si sa, le definizioni stanno sempre un po' strette e possono essere interpretate in modo diverso. Il genere “torture porn” è rappresentato da molti film, anche piuttosto datati, ma la definizione in sé comincia a circolare nei primi anni 2000 con una delle pellicole che ha inevitabilmente segnato la storia del cinema di genere, e che ha, in qualche modo, dato inizio alla “moda” del torture in salsa mainstream: “Saw”. Ho preferito quindi concentrare la mia attenzione su tutti i film usciti più o meno nello stesso periodo in modo da non creare una classifica ante litteram. Ma cosa s'intende per “torture porn”? E' un  sottogenere strettamente legato allo splatter, in cui vengono esplicitamente mostrate scene di violenza fisica, con un occhio di riguardo all'elemento sadomaso. Il carnefice infatti trae in genere un profondo senso di piacere e appagamento dai suoi massacri e spesso filma le sue gesta. A questo punto può entrare in scena un ulteriore sottogenere fortemente collegato al torture porn: lo “snuff” movie. Il piano della finzione cinematografica viene così stravolto, sfociando in una finta realtà attraverso tecniche di ripresa e stili precisi che rendono la visione particolarmente cruenta e disturbante. E' per questo che troverete film come “Snuff 102” o “A Serbian Film”, dove il torture porn si mescola pesantemente allo snuff dando vita ad opere malate e disgustose, non solo per gli occhi ma anche per la mente. Il confine tra i due generi è molto sottile; ho escluso dalla classifica gli snuff puri (come ad esempio “August Underground”) poiché seguono clichè ben precisi e differenti. Mi aspetto comunque valanghe di commenti del tipo “Ma non ha messo Guinea pig!” (per fare un esempio) o “Quello lì non c'entra una mazza!”. Consapevole di ciò vi lascio ai 10 film più controversi e nauseanti (nel senso buono del termine) della storia del cinema degli anni 2000, non necessariamente in ordine di importanza.



SAW-L'ENIGMISTA – J.Wan, 2004

Saw” apre la classifica dei 10 torture porn poiché ha riesumato un genere già presente a livello underground e lo ha schiaffato senza ritegno nelle sale cinematografiche di tutto il mondo. Oltre ad aver reso mainstream un genere di nicchia (purtroppo o per fortuna), “Saw” è uno dei pochi film horror recenti ad aver effettivamente inventato un nuovo personaggio con un modus operandi del tutto personale. L'enigmista è un perverso malato terminale che ha escogitato un sistema del tutto peculiare per far comprendere alle proprie vittime il vero significato della vita: per apprezzarla dovranno trovare il modo (cruento e sanguinoso) per liberarsi dalle diaboliche trappole nelle quali sono stati imprigionati. E così assistiamo ad atti di estrema violenza compiuti dai malcapitati sui propri corpi, tra i quali il più noto è certamente l'amputazione del piede. La saga è composta in tutto da ben sette capitoli in cui la costruzione dei trabocchetti diventa sempre più complicata e la dose di sangue aumenta in modo esponenziale, a scapito però della solidità della trama e tradendo alla lunga una certa ripetitività. Il personaggio, che ha il suo alter ego nel diabolico pupazzo Billy, ha ormai la forza di un'icona, come i più celebri babau del cinema horror.

HOSTEL – E.Roth, 2006

Quando uscì “Hostel” nelle sale, assieme al biglietto del cinema veniva gentilmente distribuito un sacchettino per il vomito (che custodisco ancora nella mia bara di cartone). Non so se qualcuno l'ha effettivamente usato, ma la trovata è stata davvero geniale. Questi giovani ragazzi se ne vanno in giro tra le terre dell'Est Europa in cerca di sesso e divertimento, incappando in un ridente ostello. Qui vengono rapiti e trasportati in un luogo dove ricchi in cerca di forti emozioni ed appartenenti ad un club esclusivo pagano per poter avere una vittima in carne ed ossa da torturare e uccidere a piacimento. Sarà mainstream, commerciale, tutto quello che volete, ma tecnicamente è una pellicola impeccabile, come impeccabili sono gli effetti speciali. Le torture si sprecano, ogni dettaglio viene minuziosamente ripreso dalla macchina da presa e dato in pasto ai telespettatori, dotati del loro comodo sacchettino in caso di necessità. Il luogo delle violenze è un vecchio edificio cadente; ogni stanza è fornita di tutta l'attrezzatura necessaria: coltelli d'ogni genere, trapani, motoseghe, pistole, cacciaviti, un vero arsenale. “Hostel” è  l'essenza del torture porn dei giorni nostri, un'opera cruda, diretta, che fa dell'explotation il suo unico punto di forza e della carne maciullata il suo simbolo.  E. Roth ha diretto anche il sequel “Hostel II”, un po' meno serioso ma non per questo meno violento; da segnalare la presenza di Ruggero Deodato (di cui E.Roth è un grande fan) che appare in un cameo nelle vesti del torturatore (ovviamente cannibale).

A SERBIAN FILM -  S. Spasojevic, 2009

Così parlò Spasojevic: “Questo film è il diario delle angherie inflitteci dal Governo Serbo, il potere che obbliga le persone a fare quello che non vogliono fare... devono sentire la violenza per capirla”. Questo è certamente uno dei film più controversi e disturbanti degli ultimi anni. Nel bene o nel male “A Serbian Film” ha parecchio fatto parlare di sé attirando l'attenzione di un un pubblico non sempre adatto e preparato ad una visione del genere. La trama verte attorno al personaggio di Milos, ex porno divo, che per soldi accetta di girare un film di cui non conosce i dettagli. Drogato dalla troupe e fuori di sé si ritroverà a girare uno snuff movie, con conseguenze inimmaginabili per sè e per la sua famiglia. La pellicola è un vero pugno nello stomaco: sevizie di ogni genere, stupri e, come se non bastasse, scene che coinvolgono bambini. Alcuni ci hanno visto un che di pedopornografico, altri lo sfogo di una sessualità deviata; dal canto mio credo sia estremamente  riduttivo e sintomo di scarsa comprensione e perspicacia interpretarlo in tal senso; non era certo nelle intenzioni del regista affrontare il tema della pedopornografia e alcune sequenze sono talmente (e volutamente) esagerate (per chi lo ha visto mi riferisco alla famigerata scena del neonato) da suscitare un sorriso e niente di più. Ineccepibile dal punto di vista tecnico, dalla regia al montaggio alla recitazione. Un vero capolavoro dell'explotation: tutte le scene estreme sono sempre inserite in un contesto narrativo tale da renderle funzionali alla trama, evitando di mostrare quella violenza fine a sé stessa tipica di molti film del genere. Forte e predominante anche l'elemento sessuale inteso non come mezzo di eccitazione ma come metafora nonché culmine di un disagio crescente. Disagio palpabile dal primo all'ultimo secondo: ciò che colpisce non è tanto la violenza fisica, (a cui noi amanti del genere siamo avvezzi), quanto quella psicologica; l'atmosfera è malata, marcia e sudicia, e, tra una secchiata di sangue e l'altra rimane anche lo spazio per qualche amara riflessione sociale.  Che si tratti di una mera giustificazione o di una reale volontà di mettere in scena il disagio di una popolazione in ginocchio, non lo sapremo mai e, forse, non è nemmeno così importante. Un film di difficile classificazione, non totalmente compreso dai più e pregno di significati facilmente fraintendibili. Per la sottoscritta rimane un'opera intelligente e schockante allo stesso tempo. Se siete intenzionati a vederlo vi consiglio di procurarvi la versione integrale (104'). E comunque non guardatelo con vostra madre.

SNUFF 102 – M.Peralta, 2007

Mai titolo fu più esplicito di questo: Snuff 102 è infatti un finto snuff movie girato però con una tecnica di ripresa per lo più tradizionale. La trama è pressochè inesistente: un tizio non particolarmente sano di mente rapisce delle ragazze e le sottopone ad ogni tipo di sevizia, sotto l'occhio vigile della sua telecamera. Tra queste donne c'è anche una giornalista che, a sua insaputa ovviamente, si ritrova ad intervistare il maniaco, prima di finire anch'essa nella camera delle torture. Tecnicamente parlando, ho poco apprezzato il montaggio convulso e  la scelta del bicromatico alternato al colore; per il resto lo spettacolo mostra tutto quello che ci si aspetta di vedere in un film del genere. 1h e 40' di violenza brutale dove la parola “limite” non esiste: stupri, necrofilia, pissing, smembramenti e nefandezze di ogni tipo. La prima parte del film è di più ampio respiro in quanto le scene di violenza sono spesso intervallate dalle immagini del maniaco che si lancia in sproloqui sulla moralità e altre banalissime riflessioni sociali: pessima idea tentare di razionalizzare la follia di una mente malata, accennando discorsi (inconcludenti) sull'etica e affini, soprattutto se stai girando un film ultra brutale dove ciò che conta è unicamente la forma e non i contenuti pseudo intellettuali e dove tutti i canoni del cinema “classico” vengono stravolti. La pellicola risulta difficile da digerire non solo per la pesantezza delle immagini ma anche per l'eccessivo minutaggio; la ripetitività (inevitabile) dei misfatti non aiuta certo a risollevare le sorti del film.  Obiettivamente siamo comunque di fronte ad un'opera estremamente violenta, eccessiva e senza fronzoli; non spicca certo per originalità ma riesce certamente nell'intento di disturbare lo spettatore. Da guardare a stomaco vuoto e solo se siete appassionati del genere. 

MURDER SET PIECES – N.Palumbo, 2004

Il protagonista della pellicola è Sven, un fotografo super palestrato, narcisista e con il “piccolo” difetto di odiare le donne, al punto da considerarle semplici oggetti usa e getta (nel vero senso della parola). Così, abborda ragazze nei locali notturni (non esattamente delle sante) e le conduce nella sua cantina super attrezzata per divertirsi a massacrarle. Tra uno stupro, un atto di cannibalismo e di necrofilia, c'è anche spazio per una leggera caratterizzazione del personaggio. Alcuni flash back ci mostrano uno Sven bambino alle prese con le prime turbe mentali, probabilmente legate ad un rapporto poco sano con la madre; da qui si presume abbia sviluppato una forte tendenza alla misoginia. Come se non bastasse, le foto sparse per la sua casa ci fanno capire che discende da una famiglia di nazisti. Ricapitolando: bello, muscoloso, misogino, nazista cattivo: direi che dal punto di vista dell'originalità siamo più o meno a zero. Tecnicamente parlando la pellicola si attesta su livelli sufficienti; regia e fotografia sono però piuttosto scialbe e dallo stampo televisivo. Cosa salvo di questo film? Le torture, ovviamente. Una schiera di fanciulle costantemente senza veli e dalle generose forme viene brutalmente seviziata e umiliata in ogni modo possibile; non solo donne grandi e vaccinate, ma anche giovani ragazzine finiscono nelle grinfie del maniaco: l'uccisione brutale delle giovanissime fa un certo effetto. Di pessimo gusto invece la scelta di piazzare un bambino piccolissimo, tutto imbrattato di sangue, che piange e urla (ma per davvero) di fronte al cadavere della mamma. In generale un film godibile per chi ama il genere, ricco di situazioni estreme,  ma da guardare senza troppe pretese.

MUM & DAD – S.Sheil, 2008

E per la categoria “famiglie alternative” ho scelto questo piccolo gioiello, debitore del più famigerato “Non Aprite Quella Porta” (e affini).  La trama di "Mum & Dad" è piuttosto basic e prevedibile: una famiglia composta da sadici genitori e due figli, rapisce una ragazza con lo scopo di schiavizzarla. Questa si ribellerà e subirà l'ira del “padre”, un omone grassoccio e viscido, che fa il suo ingresso in scena masturbandosi con un pezzo non meglio identificato (o forse sì) di carne umana. Nonostante la pellicola sia derivativa e la costruzione narrativa scontata, l'opera è ben confezionata e riesce nell'intento di regalare immagini e situazioni estreme e a tratti grottesche. Dalle frattaglie che fanno indifferentemente capolino nel bel mezzo della cucina, al film porno in sottofondo durante il pranzo, alla festicciola di Natale con il corpo di un ragazzo appeso a mò di Cristo in salotto. Il tutto in un'atmosfera malata, sudicia e  sporca. Molto buona la prova attoriale nonché il ritratto dei personaggi; non tra i più violenti in circolazione ma certamente un valido prodotto. Curiosità: il film è stato girato in appena due settimane.

MARTYRS -  P. Laugier, 2008

La Francia negli ultimi anni ha sfornato diverse opere degne di nota; “Martyrs” è considerato dai più una delle pellicole più forti e disturbanti del gorn moderno. Dopo una prima parte piuttosto violenta e sostenuta, sviluppata in tutto e per tutto come un Rape&Revenge, il film volge l'attenzione verso una tematica atipica per un horror: il martirio. La brutalità del torture porn viene sfruttata non per soddisfare la solita brama di sadismo ma per uno scopo ben preciso: provocare una sofferenza fisica talmente grande da indurre la vittima ad uno stato di estasi, trasformarla in un vero e proprio martire nella speranza che sveli il mistero più grande: cosa c'è dopo la morte? E dietro questo grande punto di domanda c'è un'equipe organizzata, una sorta di setta, capitanata da un'anziana donna con l'ossessione dei martiri. La giovane prescelta (che fortuna!) comincerà dunque a percorrere gradualmente il suo cammino verso il martirio: pestaggi, umiliazioni fisiche/psicologiche, violenze volte a far perdere il contatto con tutto ciò che c'è di terreno e materiale. Chi ha visto il film, non potrà non ricordare la scena dello scuoiamento, sicuramente una delle più inquietanti, e non perchè si tratti di una sequenza particolarmente esplicita (anzi) quanto perchè l'estrema sofferenza della protagonista sembra bucare lo schermo ed arrivare fino a noi, lasciandoci intendere il supplizio che sta patendo. Nonostante sia ottimamente realizzato, il film sembra però peccare di presunzione. Tralasciando il fatto che c'è una profonda spaccatura tra la prima e la seconda parte, il vero dilemma è: abbiamo a che fare con una violenza d'autore o con un mero tentativo di schockare a tutti i costi? L'idea del martirio è sicuramente affascinante, ma è un'idea che non riesce a decollare totalmente: siamo di fronte ad torture porn sui generis, con un chè di misticheggiante e filosofico che sa tanto di giustificazione, uno spunto appena accennato e nulla di più. Ed è un vero peccato perchè, con un maggiore approfondimento delle tematiche trattate, e con una trama più lineare sarebbe venuto fuori un vero capolavoro. E invece è un capolavoro a metà.

FRONTIERS – X.Gens, 2007

Una Francia ribelle è teatro di scontri tra polizia e cittadini. In un clima teso, un gruppo di ragazzi decide di rapinare una banca, ma le cose non andranno come previsto e così si daranno alla fuga. Prima di oltrepassare il confine si fermeranno però in un ostello che tutto sarà tranne che ospitale. Il film sa tanto di già visto e sfrutta clichè e stereotipi oramai abusati nel genere, a cominciare dai disgraziati protagonisti della vicenda, alla famiglia di pazzi che gestisce l'ostello, capitanati dal patriarca nazista; non mancano nemmeno gli individui deformi e non particolarmente intelligenti. Un mix di ingredienti pescati dal backwoods brutality e schekerati per bene con la formula del torture porn, con un retrogusto politico sullo sfondo di poca importanza. Se è vero che l'originalità non è il punto forte del film, è anche vero che la pellicola è ottimamente realizzata, tanto da far passare l'assenza di freschezza in secondo piano. Di particolare impatto sono le situazioni che vedono la famiglia riunita attorno al tavolo, con la figura del patriarca che domina la scena: lui, nazista integerrimo, cercherà di tenere in piedi la famiglia facendo sposare il figlio con la bella protagonista (anche se quest'ultima non sembra avere i tratti ariani...). Intanto, i malcapitati subiscono le torture degli altri componenti: c'è chi viene appeso a testa in giù come un maiale, chi subisce il taglio del tendine d'Achille etc etc...Ma è nel finale, estremizzato anche da un nevrotico montaggio, che si raggiungono i picchi elevati dell'explotation: secchiate e secchiate di sangue dipingono uno scenario orripilante, dove anche l'immancabile motosega trova il suo posticino. Una pellicola sicuramente derivativa ma che gode di ottimi effetti speciali, cattiva e splatterosa al punto giusto. Da guardare.

THE HUMAN CENTIPEDE – T.Six, 2010

Il dottor Josef Heiter è un luminare nel campo della chirurgia, conosciuto in tutto il mondo per le sue capacità di separare gemelli siamesi. Ma nella sua testa  s'insinua il desiderio malato di stravolgere ciò che ha sempre fatto: non più dividere ma unire. Dopo aver creato il “tri-cane” sfrutterà le sue doti mediche per creare qualcosa di ancora più aberrante: una tripletta di esseri umani uniti bocca-ano. I tre sfortunati saranno un cinese e due turiste che, bloccate nel bosco, busseranno proprio alla sua porta. Al di là di quello che è il risultato finale, il film entra di diritto tra i cult movie poiché sfrutta un'idea tanto malata quanto originale. La pellicola promette bene sin dall'inizio, ma solo quando la storia entra nel vivo le aspettative si fanno davvero interessanti. L'essenza del film si manifesta nell'unico vero momento topico: la minuziosa spiegazione dell'intervento alle cavie, con tanto di proiezioni e didascalie, è qualcosa di disgustoso ed agghiacciante, un siparietto ottimamente messo in scena in modo da far pregustare allo spettatore chissà quale spettacolo splatteroso. E invece non è così. La tortura c'è ma non si vede, o almeno, non così eplicitamente; la storia si concentra maggiormente sulla violenza psicologica, l'arte del mostrare lascia spazio all'immaginazione attraverso situazioni suggerite e mai “eccessive”. Riuscitissima la figura del folle dottore, divenuto icona cattiva della cinematografia dei giorni nostri, grazie ad una prova attoriale al di sopra delle righe, e ad una faccia davvero difficile da dimenticare. Il film, dopo una prima parte accattivante e disturbante, comincia a calare di livello, inanellando una serie di situazioni ripetitive che nulla aggiungono né dal punto di vista narrativo né da quello dell'explotation. Forse, con una maggiore attenzione all'elemento splatter e una diversa impronta al film, che si prestava ad una narrazione meno seriosa, sarebbe venuto fuori un capolavoro. Ma cosa c'è di più disgustoso che immaginare un cinese defecare dentro la bocca di una ragazza attaccata al suo ano?

THE LOVED ONES – S. Byrne, 2009

Brent è un ragazzo tormentato dal rimorso di aver provocato la morte del padre a causa di un incidente stradale. Si avvicina il ballo della scuola e Lola, una compagna innamorata di lui, gli chiede di accompagnarla. Dopo aver ricevuto il rifiuto da parte del giovane, che invece porterà al ballo la sua fidanzata, la studentessa, gelosa e assetata di vendetta, gliela farà pagare cara. Una trama elementare per un torture porn di tutto rispetto; se da una parte respiriamo l'aria “leggera” tipica dei teen movie, fatta di giovani protagonisti alle prese con i loro problemi adolescenziali, dall'altra parte viene data al film un'impronta estrema e la vendetta assume i colori neri della violenza, sconfinando in territori che nulla hanno a che vedere con i sentimenti genuini dei più giovani. Molto ben caratterizzato il personaggio di Lola, dal viso angelico e paffutello, dietro al quale si nasconde l'anima di una persona deviata e sadica, aiutata dall'altrettanto folle padre che nutre voglie incestuose verso la figlia. Presto si viene catapultati dai bei panorami australiani alla buia casa dell'allegra famigliola, dove verrà inscenata una cena elegante, con tanto di incoronamento alla reginetta Lola e foto di rito. Ciò che più colpisce è appunto il forte contrasto tra normalità e follia allo stato puro: si passa da una Lola emozionata che si fa bella davanti allo specchio, mentre canticchia una dolce canzone, ad un Brent legato e imbavagliato ma vestito di tutto punto, al quale verrano inflitte le peggiori torture. La pellicola non è comunque scevra di difetti: il finale piuttosto inverosimile lascia un po' d'amaro in bocca, e alcune situazioni sembrano essere state inserite per smorzare i toni e riempire qualche buchetto, ma rimane comunque un'opera più che discreta e riuscita.