venerdì 19 dicembre 2014

THE EMBRYO HUNTS IN SECRET - K.Wakamatsu, 1966

Il direttore di un grande magazzino abborda Yuka, una delle sue giovani commesse, per trascorrere una notte d’amore. Giunti nel suo appartamento, dopo un inizio apparentemente passionale, l’uomo rivela la sua vera natura sfogando sulla malcapitata tutto il suo male di vivere. Per la donna comincerà infatti un calvario senza fine.

Perisca il giorno in cui nacqui! Perché non sono morto nell'utero! Perché non sono spirato appena uscito dal grembo?” (Libro di Giacobbe): questo l’incipit che ci introduce in un viaggio allucinante in cui a farci da Cicerone è Koji Wakamatsu, uno dei pioneri del genere Pinku Eiga (erotico-softcore), definizione certamente riduttiva e che ci svela solo una delle tante articolate sfumature  che caratterizzano “The Embryo Hunts In Secret” (che tradotto in italiano significa “Quando l’embrione caccia di frodo”).
Con un passato burrascoso alle spalle, che lo vedeva affiliato alla yakuza,  il regista giapponese  inizia la sua lunga e prolifica carriera cinematografica nel 1963 per poi fondare, pochi anni dopo, la casa di produzione indipendente “Wakamatsu Production”, esordendo appunto con la pellicola in questione (“Taiji ga mitsuryo suru toki” il titolo originale). Nonostante il film sia un concentrato di sadismo ed exploitation, è ben lontano dalle brutali e sanguinarie produzioni orientali (“Guinea Pig”, “Men Behind The Sun”, per citarne alcune tra le più note) non solo dal punto di vista temporale ma anche sotto l’aspetto concettuale e stilistico. In questo caso siamo infatti di fronte ad un’opera pregna di un linguaggio cinematografico di alto livello intellettuale, che mira a sondare la psiche labile di un uomo tormentato da un passato che con violenza domina il suo presente. La trama verte attorno alle vicissitudini coniugali del protagonista (proposteci attraverso una serie di flashback) il quale, esasperato dalle continue ed insistenti richieste della moglie di avere un figlio, impone con prepotenza il suo categorico rifiuto. La consorte ricorre quindi all’inseminazione artificiale, gesto percepito dal marito come un grave atto di tradimento nei suoi confronti.
 Questo l’evento scatenante sfruttato da Wakamatsu per esprimere la sua visione nichilista, specchio del tradizionale  approccio pessimistico alla vita che contraddistingue parte della cultura nipponica, ma anche di quella della Grecia classica (scriveva il poeta Bacchilide: “Non essere mai nato: questo per l'uomo sarebbe la ventura delle venture, non esistere, non vedere il sole). Il protagonista, costantemente alle prese con elucubrazioni filosofiche,  interpreta la vita come la manifestazione del dolore nel suo stato più puro e feroce, così spietata da condannare l’essere umano nel momento stesso in cui vede la luce fuori dal grembo materno (il paradiso) e si insedia contro la sua volontà in un mondo (l’inferno) che gli riserva solo sofferenza e disperazione. In Yuka l’uomo scorge l’incarnazione della sua ex sposa, nonché perfetta cavia-feticcio da rieducare secondo i suoi folli canoni. Combattutto tra la voglia di plasmare una nuova moglie ideale e il desiderio di vendetta che lo divora di giorno in giorno, l’uomo  infliggerà  alla giovane  torture fisiche e psicologiche di ogni genere: guidato da un forte istinto misogino, egli darà sfogo alla sua rabbia repressa punendo Yuka per la sua naturale condizione di essere donna, con tutte le infauste conseguenze che ne derivano (il piacere carnale, la maternità),  nel tentativo di purificarla. Ma l’instabilità dell’uomo ha origini più radicate e profonde, riconducibili a traumi infantili irrisolti, legati ad una situazione edipica che lo porta ad un’identificazione quasi patologica di qualunque soggetto di sesso femminile con la madre. Se agli occhi di chi guarda l’equilibrio mentale dell’uomo appare precario e deviato, nell’abisso del suo micro cosmo infernale l’irrazionalità delle sue azioni trova riscontro nel credo umanistico a cui è fedelmente consacrato: nell’insensatezza delle sue convinzioni tutto ha un senso.  In un’abitazione spoglia, senza troppi manierismi di stile ma con un sapiente ed indovinato utilizzo del chiaro-scuro e del sonoro, Wakamatso mette in scena questo straziante dramma esistenziale, dove i conflitti interiori del protagonista prendono vita attraverso brutali sequenze di violenza, rese ancora più crude dal sottofondo musicale di matrice classica, alternate a compassionevoli scene di dolcezza, erotismo e adorazione per la vittima.  Il concetto di “estremo” in questa pellicola va abbracciato a 360°: estreme sono le circostanze materiali in cui si trova la ragazza, legata, sottomessa come un cane, ripetutamente frustata e privata della dignità, ed ancora più estreme sono le riflessioni che ne conseguono, le quali trascendono il significato stesso della vita e della concezione del mondo per come è comunemente inteso. La scelta di utilizzare un’unica location e due soli attori è funzionale al contesto opprimente e claustrofobico in cui si svolge, con grande e sofferta lentezza, l’intera vicenda. Con largo anticipo sui tempi Wakamatsu partorisce quello che da molti –a ragione – è definito un autentico capolavoro: sovversivo, coraggioso, surreale e così potente nella sua lucida follia da bucare lo schermo. “The Embryo Hunts In Secret” è una sperimentazione visiva e profondamente introspettiva dominata da una forte connotazione emotiva. L’assoluto e viscerale senso di negazione dirige le fila di questo racconto dove la mente dei personaggi – entrambi vittime non del tutto consapevoli del loro status naturale/sociale – viene brutalmente stuprata e condotta in una dimensione disarmonica e svuotata di ogni valore etico.  Un film duro nella forma e nella sostanza, perfetta e sconvolgente rappresentazione della visione poetica di uno dei registi più significativi e peculiari del cinema estremo orientale.

Pubblicato su HorrorMovie