martedì 17 marzo 2015

LIFE, DEATH AND SINS - D.Pesca, 2013

Life, Death and Sins” è l’ultima fatica di Davide Pesca, ideatore e produttore della recente antologia “17 A Mezzanotte”. Regista ed effettista speciale di numerosi cortometraggi, il giovane filmaker si cimenta in un mediometraggio dal carattere sofisticato ed elegante. La pellicola è suddivisa in sette capitoli indipendenti tra loro e privi di costruzione narrativa. Ciò che immediatamente salta all’occhio è un’onnipresente ricercatezza di stile che si traduce in una cura maniacale dell’estetica del prodotto, con particolare attenzione ad ogni minimo dettaglio. Sessualità, decadenza fisica, scoperta del piacere sono alcuni dei temi affrontati nell’opera e messi in scena attraverso un piglio quasi teatrale  ma a tratti artificioso. L’istrionico autore opta per un approccio espressivo di stampo “intellettuale” e figurativo, dando vita ad uno scenario visivo suggestivo 
ma non sempre decifrabile. Gli attori coinvolti si lasciano andare ad esibizioni di varia natura, coadiuvati da uno score musicale fortemente atmosferico che sopperisce alla mancanza di dialoghi. Gli effetti speciali, ottimamente realizzati, rappresentano l’elemento di maggior rilievo nonchè punto forte di ogni episodio. Non sempre ciò che guardiamo sullo schermo è frutto di finzione filmica: “Chapter III: The Vice is the Enemy” ci propone infatti un assaggio di body suspension, nel quale i protagonisti (performer dei “Mutant Squad”) subiscono le “torture” della pratica in questione, facendosi realmente infilzare da aghi ed uncini in varie parti del corpo; un pugno nello stomaco per i soggetti più sensibili e non avvezzi a questo genere di visioni. Ricorrente è la figura femminile, sempre mostrata in tutto il suo nudo splendore ed intenta ad inscenare atti di autolesionismo estremo, leitmotiv non solo del film suddetto ma anche di altri lavori del regista. Se dal punto di vista tecnico ci troviamo di fronte ad un’opera
di tutto rispetto, grazie ad una grande padronanza dei mezzi e ad un’abilità artistica di elevato livello, per quanto riguarda l’aspetto puramente sostanziale la pellicola non risulta pienamente convincente. La patina manieristica che permea ogni frammento dà infatti la sensazione di assistere ad un esercizio di stile fine a sé stesso, che privilegia solo ed esclusivamente il gusto estetico a discapito di una maggior chiarezza dei contenuti, che avrebbero necessitato di un’esposizione più esplicativa ed efficace, anche  in assenza di una trama vera e propria: la sensazione, in sostanza, è quella di assistere ad un lungo videoclip. La mancanza di un appiglio logico-narrativo disorienta e confonde lo spettatore ma probabilmente le intenzioni del regista erano proprio quelle di giocare con l’uso di immagini istantanee, orpellate da elementi disturbanti e sconnesse tra loro. “Life, Death and Sins” trova la sua collocazione naturale in un contesto sperimentale e, per certi versi, innovativo, dimostrandosi un prodotto audace che prende le distanze da certo cinema tradizionalista. Consigliato soprattutto ad un pubblico di ampie vedute con la voglia di farsi un trip sanguinario senza troppe spiegazioni; i più conservatori rischiano invece di incappare in una visione ostica e di difficle assimilazione.