martedì 1 dicembre 2015

THE VISIT - M.Night Shyamalan, 2015

Becca e Tyler, fratello e sorella, si apprestano a conoscere i nonni materni con i quali non hanno mai avuto contatti per via di un litigio tra questi ultimi e la madre. Giunti sul posto vengono accolti dalla coppia di anziani coniugi, entusiasti della visita dei nipoti. Becca decide di girare un documentario sulla vacanza e riprende ogni momento della giornata con la sua videocamera. Ben presto i nonni cominceranno ad avere strani ed inquietanti comportamenti e i due ragazzi dovranno fare i conti con una terrificante verità.

La moda del found footage/mockumentary ha colpito tutti: dai registi esordienti, che sfruttano tale format per nascondere le imperfezioni tecniche causate dall’inesperienza, ai cineasti più affermati  che, al contrario, mettono la propria esperienza al servizio di uno stile
apparentemente semplice nella realizzazione, ma dall’efficacia non sempre assicurata. Il marchio di fabbrica della Blumhouse crea delle aspettative ben precise, che sminuiscono in parte le speranze  di vedere un prodotto fresco ed originale, speranze probabilmente ignorate dal pubblico cui sono destinate le opere che portano la firma della prolifica casa di produzione americana. Sorprendentemente Shyamalan, che non è proprio l’ultimo arrivato, sfrutta con coraggio e competenza la tendenza del momento, dando alla luce una pellicola gradevole e personale, seppur tecnicamente confinata entro le limitazioni intrinseche del genere. Il regista indiano è abile nel costruire una vicenda avvincente senza mai focalizzare l’attenzione esclusivamente sulla tecnica di ripresa utilizzata, ma lavorando in armonia con tutti gli elementi  cinematografici di base. Il POV funge da mezzo per incorniciare un prodotto convincente, ricco di spunti interessanti e soprattutto privo di quelle voragini strutturali e formali che fanno puntualmente capolino in pellicole dello stesso filone.  Shyamalan porta la propria voce in scena attraverso la quindicenne Becca, aspirante filmaker, la quale rappresenta una sorta di alter ego del regista stesso che, attraverso questa proiezione, ci  svela senza mezzi termini  la propria concezione di cinema: un escamotage indovinato che salva la pellicola dall’anonimato e che manifesta perfettamente l’imprinting artistico del cineasta. “The Visit” sorprende positivamente per la sapiente alternanza di toni e sfumature differenti, che fanno viaggiare il film su binari diversi ma destinati ad incrociarsi: a metà strada tra thriller e horror comedy, il film intrattiene  bene mantenendo sempre elevata la soglia di attenzione. Siparietti comici e situazioni al limite del grottesco vengono inseriti in contesti spesso stranianti, smorzando la tensione e provocando più di un sorriso. Nonostante la “leggerezza” di certi passaggi, l’approfondimento
caratteriale e psicologico dei personaggi non viene trascurato, facendo emergere i lati più oscuri e drammatici della vita dei due piccoli protagonisti.  Seguendo esattamente lo schema stilistico di Becca/Shyamalan, la pellicola conserva un certo alone misterioso, puntando più sulla raffigurazione di uno scenario suggestivo ed atmosferico e sulla costruzione di un climax crescente di suspance piuttosto che sulla rappresentazione esplicita della violenza. Ciò non implica la totale assenza di scene ad effetto, che mai comunque scivolano nel facile approccio sensazionalistico. Notevole la prova attoriale di Peter McRobbie e Deanna Dunagan, nei panni dei nonni; in particolare la Dunagan ci regala svariati momenti angoscianti e bizzarri, che potrebbero far saltare dalla sedia gli spettatori meno avvezzi al genere.  Se in alcuni lavori del passato di Shyamalan la sceneggiatura era il punto dolente e mirava unicamente al tradizionale colpo di scena finale, in “The Visit” lo script è ben solido e, sebbene si appoggi all’espediente tanto caro al regista di disseminare indizi fuorvianti, ci conduce con naturalezza al classico – e atteso -  twist ending: della serie “il lupo perde il pelo ma non il vizio”, con la differenza che questa volta funziona; ogni tassello è insomma al posto giusto. Un film che attraverso una storia semplice dal taglio orrorifico, porta a galla sottotesti familiari e sentimenti contrastanti: il conflitto tra genitori e figli, la ricerca del perdono, il senso di colpa, il rancore. In conclusione, non grido al capolavoro ma mi aggiungo al coro di voci che promuove quest’ultima fatica di Shyamalan. In fondo per fare del buon cinema basta fare un’inquadratura e costruirci intorno una storia…