La
terra, a seguito di guerre e cataclismi è diventata un luogo inospitale, dove
la maggior parte della popolazione è stata sterminata. I superstiti devono però fare i conti con un virus
sconosciuto, arrivato dal cielo assieme alle piogge acide, che ha reso alcuni individui delle belve
affamate di carne umana.
Il prolifico Davide Pesca, nome piuttosto noto nell’ambito dell’underground
horror italiano, dà alla luce questo breve cortometraggio dalle tinte
catastrofiche. La storia, ambientata in
un imprecisato luogo desertico, si apre sulle belle tavole animate di Giorgio
Crodaro, già autore di “West’n ‘Zombie”, episodio dallo stampo fumettistico
inserito nell’antologia ideata dallo stesso Pesca “17 A Mezzanotte”. Il plot
mostra immediatamente una certa debolezza di fondo, dovuta fondamentalmente
all’utilizzo di un tema ormai troppo abusato che rende arduo qualunque
tentativo di produrre un lavoro
originale o quanto meno ben confezionato. Il genere survival horror/post
apocalittico è certamente ideale per
dare sfogo alle proprie capacità creative, attraverso una messa in scena che punta tutto sul comparto effettistico; di contro non offre spunti particolarmente innovativi per ciò che concerne lo sviluppo della trama, destinata a seguire i clichè tipici del caso “The Taste of Survival” non riesce purtroppo a sopperire alla pochezza narrativa attraverso l’espediente visivo, mostrando una serie di situazioni - oltre che viste e riviste - esteticamente imperfette e poco accattivanti. Abbandonata l’eleganza fotografica e l’accuratezza registica dei lavori precedenti (“Peep Show” e “Life Death and Sins” ne sono due esempi lampanti), il filmaker nostrano opta per un approccio più amatoriale e di conseguenza più lacunoso. Il make up, che dovrebbe essere uno dei punti di forza, risulta abbastanza posticcio ed approssimativo, cosa che mi lascia alquanto stupita viste le acclarate doti tecniche del regista, da sempre curatore in prima persona degli effetti speciali delle sue pellicole. La splatterosa (e tutto sommato riuscita) scena conclusiva è probabilmente la più riciclata nella storia dell’horror e appiattisce ulteriormente la qualità generale. Anche a livello registico non si assiste a nessun guizzo degno di nota. Gli otto minuti scarsi di durata non consentono di fare un’analisi più approfondita e mettono sfortunatamente in evidenza soprattutto gli aspetti negativi; l’impressione complessiva è che tutto sia stato realizzato frettolosamente e con scarsa cura per i dettagli. Pesca riesce indubbiamente ad esprimere al meglio la propria vena artistica abbracciando generi e stili ben lontani da quello qui proposto, evidentemente a lui più congeniali. Per quanto sia apprezzabile la voglia ed il coraggio di cimentarsi in nuovi ambiti, “The Taste of Survival” è un’opera formalmente e sostanzialmente carente che non decolla mai e che sembra viaggiare su binari deragliati. Una defaillance che sono sicura non avrà seguiti.
dare sfogo alle proprie capacità creative, attraverso una messa in scena che punta tutto sul comparto effettistico; di contro non offre spunti particolarmente innovativi per ciò che concerne lo sviluppo della trama, destinata a seguire i clichè tipici del caso “The Taste of Survival” non riesce purtroppo a sopperire alla pochezza narrativa attraverso l’espediente visivo, mostrando una serie di situazioni - oltre che viste e riviste - esteticamente imperfette e poco accattivanti. Abbandonata l’eleganza fotografica e l’accuratezza registica dei lavori precedenti (“Peep Show” e “Life Death and Sins” ne sono due esempi lampanti), il filmaker nostrano opta per un approccio più amatoriale e di conseguenza più lacunoso. Il make up, che dovrebbe essere uno dei punti di forza, risulta abbastanza posticcio ed approssimativo, cosa che mi lascia alquanto stupita viste le acclarate doti tecniche del regista, da sempre curatore in prima persona degli effetti speciali delle sue pellicole. La splatterosa (e tutto sommato riuscita) scena conclusiva è probabilmente la più riciclata nella storia dell’horror e appiattisce ulteriormente la qualità generale. Anche a livello registico non si assiste a nessun guizzo degno di nota. Gli otto minuti scarsi di durata non consentono di fare un’analisi più approfondita e mettono sfortunatamente in evidenza soprattutto gli aspetti negativi; l’impressione complessiva è che tutto sia stato realizzato frettolosamente e con scarsa cura per i dettagli. Pesca riesce indubbiamente ad esprimere al meglio la propria vena artistica abbracciando generi e stili ben lontani da quello qui proposto, evidentemente a lui più congeniali. Per quanto sia apprezzabile la voglia ed il coraggio di cimentarsi in nuovi ambiti, “The Taste of Survival” è un’opera formalmente e sostanzialmente carente che non decolla mai e che sembra viaggiare su binari deragliati. Una defaillance che sono sicura non avrà seguiti.