Bill Boss è il
direttore di un carcere texano di massima sicurezza. La situazione economica
della struttura non è rosea e come se non bastasse il sadico capo, nonostante i
disumani metodi punitivi, non riesce a
tenere a bada i suoi detenuti. Sotto la minaccia del licenziamento da parte del
Governatore dello Stato, il contabile Dwight
- ispirato dalla saga di “The Human Centipede”- propone di utilizzare i carcerati per formare
un millepiedi umano: un’idea utile sia come deterrente per il crimine, sia come
soluzione che consenta di ridurre al minimo i costi gestionali. L’esasperato
Boss, in preda alla canicola estiva, si lascerà prendere un po’ troppo la mano…
C’era grande attesa per l’uscita del terzo e conclusivo capitolo di “The Human
Centipede” il quale, com’era abbastanza
prevedibile, ha nettamente diviso il pubblico
tra detrattori ed estimatori. Dai pochi frame e dalla sinossi che circolava sul web si intuiva chiaramente che Tom Six avesse optato per un ulteriore cambio di stile e genere, rimanendo fedele alla linea adottata per la realizzazione della trilogia. Una saga quella del millepiedi umano atipica, basata non sulla continuità narrativa, come avviene nella maggior parte dei casi (con risultati che disegnano spesso una parabola discendente), bensì sulla messa in scena dell’idea di fondo riproposta sempre in un contesto differente. Idea che appariva brillante nel primo episodio, piuttosto canonico nella struttura e nell’estetica, ma con un villain di tutto rispetto destinato a rimanere impresso nell’iconografia del cinema horror (e scusate se è poco), per trasformarsi poi in un pugno nello stomaco nel sequel, un concentrato indigesto di eccessi e violenza indicibile, intriso di humor nero, che cavalcava l’onda del torture porn più estremo. Se il pubblico aveva storto il naso in “First Sequence”perché non si vedeva abbastanza e in “Full Sequence” perché si vedeva troppo, nel terzo “Final Sequence” storce il naso perché il tono della pellicola è eccessivamente caciarone. Six infatti gioca senza freni sul concetto dell’eccesso, espresso questa volta in chiave umoristica. A metà strada tra commedia, prison movie e torture porn “Human Centipede III” sconfina brutalmente verso lidi grotteschi che spiazzano totalmente lo spettatore. Quest’ultimo cade nel tranello psicologico – ed inevitabile – di identificare i due protagonisti con i personaggi dei due film precedenti, faticando ad inquadarli in ruoli completamente differenti e riuniti nella stessa pellicola. Dieter Laser, che nel primo film impersonificava il folle dott. Heiter veste stavolta i panni dello squilibrato direttore carcerario, regalandoci una prova attoriale superba e sopra le righe: facendo leva su una gestualità enfatica ed una fisicità teatrale riesce a strappare più di una (nerissima) risata, grazie anche al linguaggio sguaiato che lo contraddistingue. Non da meno è Laurence R. Harvey (irresistibile con i suoi baffetti alla Hitler), il quale ci sorprende con la spontaneità legata al personaggio che interpreta, loquace e distante anni luce dal maniaco viscido ed impacciato del secondo episodio, che inquietava alla sola vista. La stramba coppia sfrutta al massimo la propria espressività e dimostra una poliedricità e capacità di adattamento davvero lodevole e fondamentale per la riuscita del film, che gode di un’ottima resa finale. Se è vero che il taglio della pellicola è forzatamente caricaturale – a partire dalla caratterizzazione dei personaggi – è anche vero che la componente splatter non è affatto latitante, anzi alcune scene sono davvero forti ed estremamente cruente: le torture perpetrate ai danni dei detenuti, realizzate con effetti tecnicamente ineccepibili, si consumano in una cornice farsesca che le rende tutt’altro che “leggere”, amplificando al contrario il
senso di disgusto e ripugnanza.Il regista olandese (lo vediamo interpretare un cameo nei panni di sé stesso) sbeffeggia i suoi detrattori (ma anche i suoi fans ed i suoi stessi lavori) e si prende gioco – con ironia e più spesso con una grossolana e liberatoria risata – di quanti, con zelo degno di miglior causa, attribuiscono ai film horror significati e responsabilità che non hanno e non hanno mai avuto. Lo fa creando un’opera intenzionalmente autoreferenziale, arricchita da un’autocitazionismo compiaciuto così esagerato da suscitare fastidio e irritazione a quella (grande) fetta di pubblico incapace di cogliere lo spirito goliardico dell’operazione e che probabilmente si aspettava un lavoro sulla falsariga del precedente capitolo. Sbagliato e fuorviante analizzare questo capitolo finale paragonandolo ai due predecessori: ogni segmento della trilogia è infatti a sé stante e si limita a sfruttare il filo conduttore della saga senza dare un vero seguito all’intreccio narrativo. I simpatici siparietti dei protagonisti si consumano su uno sfondo cromatico saturo ed infiammato (come la temperatura texana), in un contesto stilistico formalmente meno elegante rispetto al secondo film – che con il suo b/n bucava proprio lo schermo – ma ugualmente ricercato ed efficace. Six questa volta ha preferito concentrare gran parte dell’attenzione sull’aspetto parodistico, centellinando le apparizioni della sua “creatura” (il millepiedi umano infatti compare soltanto verso la fine) e spingendo al massimo il piede sull’acceleratore del “politicamente scorretto”: i personaggi non conoscono pietà né umanità, i dialoghi sono infarciti da battute di cattivo gusto, non c’è rispetto per le donne e per nessuna razza o religione. Insomma il trionfo dell’insulto gratuito per un proclama di irriverenza allo stato puro. In conclusione, “The Human Centipede III” è una pellicola che, se adeguatamente contestualizzata, può risultare un tragicomico guilty pleasure condito da nefandezze qua e là; i cinemaniaci più seriosi ed intransigenti faranno invece meglio a starne lontano.
Pubblicato su HorrorMovie
tra detrattori ed estimatori. Dai pochi frame e dalla sinossi che circolava sul web si intuiva chiaramente che Tom Six avesse optato per un ulteriore cambio di stile e genere, rimanendo fedele alla linea adottata per la realizzazione della trilogia. Una saga quella del millepiedi umano atipica, basata non sulla continuità narrativa, come avviene nella maggior parte dei casi (con risultati che disegnano spesso una parabola discendente), bensì sulla messa in scena dell’idea di fondo riproposta sempre in un contesto differente. Idea che appariva brillante nel primo episodio, piuttosto canonico nella struttura e nell’estetica, ma con un villain di tutto rispetto destinato a rimanere impresso nell’iconografia del cinema horror (e scusate se è poco), per trasformarsi poi in un pugno nello stomaco nel sequel, un concentrato indigesto di eccessi e violenza indicibile, intriso di humor nero, che cavalcava l’onda del torture porn più estremo. Se il pubblico aveva storto il naso in “First Sequence”perché non si vedeva abbastanza e in “Full Sequence” perché si vedeva troppo, nel terzo “Final Sequence” storce il naso perché il tono della pellicola è eccessivamente caciarone. Six infatti gioca senza freni sul concetto dell’eccesso, espresso questa volta in chiave umoristica. A metà strada tra commedia, prison movie e torture porn “Human Centipede III” sconfina brutalmente verso lidi grotteschi che spiazzano totalmente lo spettatore. Quest’ultimo cade nel tranello psicologico – ed inevitabile – di identificare i due protagonisti con i personaggi dei due film precedenti, faticando ad inquadarli in ruoli completamente differenti e riuniti nella stessa pellicola. Dieter Laser, che nel primo film impersonificava il folle dott. Heiter veste stavolta i panni dello squilibrato direttore carcerario, regalandoci una prova attoriale superba e sopra le righe: facendo leva su una gestualità enfatica ed una fisicità teatrale riesce a strappare più di una (nerissima) risata, grazie anche al linguaggio sguaiato che lo contraddistingue. Non da meno è Laurence R. Harvey (irresistibile con i suoi baffetti alla Hitler), il quale ci sorprende con la spontaneità legata al personaggio che interpreta, loquace e distante anni luce dal maniaco viscido ed impacciato del secondo episodio, che inquietava alla sola vista. La stramba coppia sfrutta al massimo la propria espressività e dimostra una poliedricità e capacità di adattamento davvero lodevole e fondamentale per la riuscita del film, che gode di un’ottima resa finale. Se è vero che il taglio della pellicola è forzatamente caricaturale – a partire dalla caratterizzazione dei personaggi – è anche vero che la componente splatter non è affatto latitante, anzi alcune scene sono davvero forti ed estremamente cruente: le torture perpetrate ai danni dei detenuti, realizzate con effetti tecnicamente ineccepibili, si consumano in una cornice farsesca che le rende tutt’altro che “leggere”, amplificando al contrario il
senso di disgusto e ripugnanza.Il regista olandese (lo vediamo interpretare un cameo nei panni di sé stesso) sbeffeggia i suoi detrattori (ma anche i suoi fans ed i suoi stessi lavori) e si prende gioco – con ironia e più spesso con una grossolana e liberatoria risata – di quanti, con zelo degno di miglior causa, attribuiscono ai film horror significati e responsabilità che non hanno e non hanno mai avuto. Lo fa creando un’opera intenzionalmente autoreferenziale, arricchita da un’autocitazionismo compiaciuto così esagerato da suscitare fastidio e irritazione a quella (grande) fetta di pubblico incapace di cogliere lo spirito goliardico dell’operazione e che probabilmente si aspettava un lavoro sulla falsariga del precedente capitolo. Sbagliato e fuorviante analizzare questo capitolo finale paragonandolo ai due predecessori: ogni segmento della trilogia è infatti a sé stante e si limita a sfruttare il filo conduttore della saga senza dare un vero seguito all’intreccio narrativo. I simpatici siparietti dei protagonisti si consumano su uno sfondo cromatico saturo ed infiammato (come la temperatura texana), in un contesto stilistico formalmente meno elegante rispetto al secondo film – che con il suo b/n bucava proprio lo schermo – ma ugualmente ricercato ed efficace. Six questa volta ha preferito concentrare gran parte dell’attenzione sull’aspetto parodistico, centellinando le apparizioni della sua “creatura” (il millepiedi umano infatti compare soltanto verso la fine) e spingendo al massimo il piede sull’acceleratore del “politicamente scorretto”: i personaggi non conoscono pietà né umanità, i dialoghi sono infarciti da battute di cattivo gusto, non c’è rispetto per le donne e per nessuna razza o religione. Insomma il trionfo dell’insulto gratuito per un proclama di irriverenza allo stato puro. In conclusione, “The Human Centipede III” è una pellicola che, se adeguatamente contestualizzata, può risultare un tragicomico guilty pleasure condito da nefandezze qua e là; i cinemaniaci più seriosi ed intransigenti faranno invece meglio a starne lontano.
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