Accantonato
momentaneamente l’estremismo pornografico delle malsane produzioni targate VLF,
Marco Malattia si cimenta in questa nuova avventura destinata a far parlare
(nel bene o nel male) di sé. “Kitva’s Wormhole”
è un cortometraggio di difficile assimilazione, rivolto ad un target esclusivo
e numericamente non molto folto, almeno in Italia. Sperimentando i fin troppo
elitari sentieri della videoarte, Malattia, in collaborazione con Omega Knust, partorisce
un’opera stilisticamente accostabile all’art house di ultima generazione, con
tutti i pregi e i difetti del caso. Potremmo
definirlo una sorta di “The Bunny Game” all’amatriciana, che rimaneggia gli
stilemi del torture porn moderno per crearne una versione meno carnale e che si
compiace della propria ostentata raffinatezza. Il rapimento di una donna,
segregata e sottoposta ad una serie di angherie fisiche e mentali, è il
pretesto per mettere in scena una non-narrazione straniante e costellata di
pretenziosi simbolismi, che finisce per risultare ridondante e alquanto tediosa. Sebbene l’impatto visivo sia formalmente molto forte, grazie all’esperienza e alla competenza registica dell’artista italiano, dal punto di vista dei contenuti “Kitva’s Wormhole” appare piuttosto scialbo ed anonimo. Seguendo un personale discorso “filmico”, che prevede una chiave di lettura certamente non ortodossa, Malattia adotta codici visivi e sonori (suggestive come sempre le musiche di ZeroGravityToilet ) atti a mostrare non tanto una storia – nel senso corrente del termine – quanto una serie di situazioni volte ad esasperare l’aspetto concettualmente violento e visionario dell’opera. Una sublimazione dei sensi e delle sensazioni espressa per mezzo di accorgimenti tecnici mirati che ben si inseriscono nel contesto “avanguardistico” proposto. La fotografia è potente e cristallina ma si appoggia troppo ad un bianco e nero che vorrebbe essere intellettuale ma finisce soltanto per conferire al tutto una patina di innaturale eleganza. A ciò si aggiunge un montaggio frammentato che, assieme ad una regia diligente, trasforma la visione in una specie di lungo videoclip (duro da digerire). Se da una parte la realizzazione di un lavoro così perfetto e tecnicamente impeccabile rende giustizia alle abilità artistiche del regista, dall’altra rischia di intrappolarlo in un’autoreferenzialità che limita il tutto ad uno sterile esercizio di stile. Considerazioni inevitabilmente
influenzate dal progetto parallelo VLF (qui le recensioni di "No Vaseline" e "Channel 309 "), portato avanti con creatività ed innovazione, elementi che invece non emergono nello short in questione. Quello che ho percepito è un enorme squilibrio tra le varie fasi di sviluppo che dovrebbero al contrario agire di concerto al fine di dare alla luce un lavoro completo e soddisfacente: accanto ad un comparto tecnico estremamente curato spicca un soggetto che lascia molto a desiderare e che sfrutta scelte estetiche piuttosto banali e derivative. Sembra quasi che Malattia abbia concepito l’opera con il freno a mano tirato, poiché in 21 minuti non c’è una sola scena che trasmetta il disagio e la brutalità a cui il video maker nostrano ci ha abituati. Non c’è tensione, cattiveria, degrado o perversione, ma solo una donna che si aggira smarrita nel classico edificio fatiscente, con indosso due inflazionatissime orecchie da coniglio, subendo le blande torture di un uomo, in uno scenario a tratti onirico e asettico. Tralasciando VLF – che non ha nulla a che spartire con questo progetto – e volendo analizzare il lavoro di per sé, il giudizio negativo purtroppo non cambia. Si tratta comunque di un prodotto che credo non abbia termini di paragone nel nostro paese: a maggior ragione questa esperienza ha il sapore di un’occasione sprecata, che avrebbe dovuto essere sfruttata con maggiore audacia, visto il grande potenziale a disposizione, optando magari per soluzioni visive meno convenzionali e per una progressione temporale dai ritmi più sostenuti. Nota di merito va alla confezione del DVD - pubblicato in 31 copie numerate a mano - che può contare su un artwork molto accattivante; un’edizione estremamente professionale e di certo imperdibile per i collezionisti di professione.
pretenziosi simbolismi, che finisce per risultare ridondante e alquanto tediosa. Sebbene l’impatto visivo sia formalmente molto forte, grazie all’esperienza e alla competenza registica dell’artista italiano, dal punto di vista dei contenuti “Kitva’s Wormhole” appare piuttosto scialbo ed anonimo. Seguendo un personale discorso “filmico”, che prevede una chiave di lettura certamente non ortodossa, Malattia adotta codici visivi e sonori (suggestive come sempre le musiche di ZeroGravityToilet ) atti a mostrare non tanto una storia – nel senso corrente del termine – quanto una serie di situazioni volte ad esasperare l’aspetto concettualmente violento e visionario dell’opera. Una sublimazione dei sensi e delle sensazioni espressa per mezzo di accorgimenti tecnici mirati che ben si inseriscono nel contesto “avanguardistico” proposto. La fotografia è potente e cristallina ma si appoggia troppo ad un bianco e nero che vorrebbe essere intellettuale ma finisce soltanto per conferire al tutto una patina di innaturale eleganza. A ciò si aggiunge un montaggio frammentato che, assieme ad una regia diligente, trasforma la visione in una specie di lungo videoclip (duro da digerire). Se da una parte la realizzazione di un lavoro così perfetto e tecnicamente impeccabile rende giustizia alle abilità artistiche del regista, dall’altra rischia di intrappolarlo in un’autoreferenzialità che limita il tutto ad uno sterile esercizio di stile. Considerazioni inevitabilmente
influenzate dal progetto parallelo VLF (qui le recensioni di "No Vaseline" e "Channel 309 "), portato avanti con creatività ed innovazione, elementi che invece non emergono nello short in questione. Quello che ho percepito è un enorme squilibrio tra le varie fasi di sviluppo che dovrebbero al contrario agire di concerto al fine di dare alla luce un lavoro completo e soddisfacente: accanto ad un comparto tecnico estremamente curato spicca un soggetto che lascia molto a desiderare e che sfrutta scelte estetiche piuttosto banali e derivative. Sembra quasi che Malattia abbia concepito l’opera con il freno a mano tirato, poiché in 21 minuti non c’è una sola scena che trasmetta il disagio e la brutalità a cui il video maker nostrano ci ha abituati. Non c’è tensione, cattiveria, degrado o perversione, ma solo una donna che si aggira smarrita nel classico edificio fatiscente, con indosso due inflazionatissime orecchie da coniglio, subendo le blande torture di un uomo, in uno scenario a tratti onirico e asettico. Tralasciando VLF – che non ha nulla a che spartire con questo progetto – e volendo analizzare il lavoro di per sé, il giudizio negativo purtroppo non cambia. Si tratta comunque di un prodotto che credo non abbia termini di paragone nel nostro paese: a maggior ragione questa esperienza ha il sapore di un’occasione sprecata, che avrebbe dovuto essere sfruttata con maggiore audacia, visto il grande potenziale a disposizione, optando magari per soluzioni visive meno convenzionali e per una progressione temporale dai ritmi più sostenuti. Nota di merito va alla confezione del DVD - pubblicato in 31 copie numerate a mano - che può contare su un artwork molto accattivante; un’edizione estremamente professionale e di certo imperdibile per i collezionisti di professione.
Info e trailer Marco Malattia blog