martedì 15 settembre 2015

AMERICAN GUINEA PIG: BOUQUET OF GUTS&GORE - S.Biro, 2015

Due ragazze vengono rapite da un uomo mascherato. Quest’ultimo, con l’aiuto di due complici che filmano ogni cosa, dopo averle drogate, le sottoporrà a torture di ogni genere con lo scopo di girare uno snuff  movie.

Annunciato già da tempo dalla Unearthed Films e sostenuto da una campagna di crowfunding, il progetto “American Guinea Pig” vede la luce con il primo episodio della serie intitolato “Bouquet of Guts&Gore”, diretto da Stephen Biro, fondatore della stessa casa di distribuzione americana. Quest’ultima ha il merito di aver distribuito per la prima volta nel 2005 il cofanetto completo della nota saga nipponica “Guinea Pig”, ed oggi ne sfrutta a buon diritto il titolo. Nell’era dell’estremismo a tutti i costi, dove ogni tabù è stato ormai sdoganato, ed in un momento in cui la pornografia della violenza è una delle cifre essenziali di
tanto cinema horror (underground e non solo), il regista più che percorrere la strada dell’innovazione immaginifica, omaggia con questa pellicola certo cinema di nicchia di matrice gore/splatter, seguendo fedelmente la scia dei suoi predecessori: “Flower of Flesh and Blood” (secondo capitolo dell’originale “Guinea Pig” di H.Hino, 1985) in primis ma anche Niku Daruma (T.Anaru, 1998), con il quale ha più di una sequenza in comune. A salvarlo dalla sterile imitazione è il taglio stilistico personale ma squisitamente old school in tutto e per tutto:  “Bouquet of Guts&Gore” incarna infatti perfettamente lo spirito retrò che i gorehounds più attempati conoscono bene. La scelta di alternare tecniche di ripresa obsolete (super 8 e video 8), con tanto di tagli tra un girato e l’altro, non è certamente casuale e risulta estremamente accattivante oltre che funzionale alla tipologia di video proposta (lo snuff movie) ed alla “copertura” di alcuni difettucci degli effetti speciali.  I mezzi utilizzati garantiscono una resa visiva sporca ed imperfetta,  che odora di amatorialità e marciume e che si appoggia ad un comparto fotografico equilibrato ed essenziale (a cura di J.Van Babber), ad ulteriore sostegno dell’atmosfera vintage.  Povera ma di grande impatto l’ambientazione che offre un’unica location per quasi tutta la durata del film, nella quale è possibile scorgere soltanto due tavoli ricoperti da lenzuola di un bianco sgargiante e tutta una serie di arnesi in bella vista che non promettono nulla di buono. Non è da meno l’inquietante rappresentazione dei personaggi, con i volti costantemente nascosti da sinistre maschere e le telecamere in mano a filmare ogni macabro dettaglio. In particolare, il
musicista Eight The Chosen One si dimostra perfettamente a suo agio nei panni del sadico serial killer “testa di caprone”, la cui figura è esteticamente lontana anni luce da quella dell’indimenticabile samurai di “Flower of Flesh and Blood” ma non per questo meno minaccioso. E proprio come nella pellicola appena citata, anche in questo caso lo spettatore si ritrova ad assistere ad una mattanza scellerata e senza limiti: eviscerazioni, amputazioni, scuoiamenti ed efferatezze di ogni genere e per tutti i gusti.  Litri e litri e litri di sangue delizieranno i nostri occhi. Gli FX (realizzati da M.Koch), piuttosto plasticosi e posticci in alcuni passaggi, sembrano usciti direttamente dagli anni ’80 e, se da una parte fanno  venire meno il piglio realistico dell’opera  (già tradito dalla presenza della suggestiva colonna sonora), dall’altra trasformano la pellicola in un puro, insano e spassoso guilty pleasure, che di certo non sconvolgerà ma “divertirà” chi è avvezzo a questo genere di visioni. Divertimento che si trasforma inaspettatamente in angoscia nelle sequenze finali, le uniche dove non viene mostrata neanche una goccia di sangue, e paradossalmente le più brutali. Dopo settanta minuti di macelleria senza freni, il regista vira verso un approccio alla violenza non esibita, dove ogni aberrazione è lasciata all’immaginazione: un’idea appena accennata (che non rivelo per non rovinarvi la sorpresa) che risulta estremamente più disturbante di tutte le torture messe insieme, perché non varca esplicitamente un limite ma ci lascia intendere quello che di lì a poco inevitabilmente accadrà. Ed è un pensiero in grado di turbare anche gli stomaci cinematograficamente più forti. In conclusione “Bouquet of Guts&Gore” è un prodotto che, se inquadrato nell’ottica dell’omaggio/remake, può dirsi sicuramente riuscito: non una novità per gli splatterofili vaccinati; shockante solo per i neofiti (ma non è un film destinato a loro); forse deludente per chi spera in qualcosa di originale e moderno; una goduria per chi apprezza viscere, interiora e frattaglie assortite. Per me promosso ma consigliato esclusivamente agli amanti del genere.