Due gemelli accolgono l’arrivo della loro mamma, finalmente
a casa dopo un incidente che la costringe a portare delle bende al volto a
seguito di un intervento di chirurgia plastica. La donna si dimostra severa e
fredda nei confronti dei figli, i quali, convinti che in realtà quella non sia
la loro vera madre, faranno di tutto per scoprire la verità.
Il regista austriaco Ulric Seidl produce questa singolare pellicola presentata
in anteprima alla 72° Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia del
2014, diretta e scritta dalla moglie Veronika Franz (qui al suo esordio
registico) e Severin Fiala. Il film si è aggiudicato una nomination all’Austria’s
Academy Award come miglior film in lingua straniera; il trailer è stato
visualizzato da milioni di persone ed è stato
definito come “il più spaventoso mai realizzato”. In effetti le premesse di “Goodnight Mommy” lasciavano ben sperare e le aspettative sono state in parte soddisfatte. “Ich Seh Ich Seh” (titolo originale) è una sorta di horror psicologico costruito attorno ad una dualità tanto ambigua quanto spaventosa, che pone in continuo risalto il confronto tra i protagonisti della storia: tre quelli che vediamo sullo schermo, ma con un dubbio amletico che dovrebbe accompagnarci per tutta la durata della pellicola. “Dovrebbe” perché in realtà la soluzione dell’enigma è semplice e fin troppo precoce: la sceneggiatura non sempre perfetta dissemina infatti indizi rivelatori sin dai primi minuti, eliminando di fatto l’elemento suspance. Minuti iniziali che scorrono con una lentezza esasperata ed esasperante, difficile da digerire ma propedeutica alla comprensione delle dinamiche familiari. Queste vengono messe in scena attraverso una serie di suggestive istantanee, quasi senza soluzione di continuità, che immortalano la vita dei due gemelli (Elias e Lukas Schwarz) e della loro madre, con inquadrature che sottolineano costantemente e con insistenza la ricercatezza estetica dell’opera. La quale tuttavia mette in mostra a tratti una pretenziosità sterile e poco funzionale allo svolgimento narrativo. Tale piglio autoriale apre la strada a scenari eleganti e onirici, immersi in un’atmosfera misteriosa ed angosciante, specchio riflesso della vita dei personaggi. Questi ultimi, isolati in un’enorme villa circondata da una natura incontaminata, esprimono il loro malessere utilizzando più il linguaggio del corpo che le parole: i pochi dialoghi lasciano infatti spazio ad una gestualità espressiva fatta di sguardi indagatori, cenni d’intesa e pose plastiche talvolta indecifrabili. Sebbene
la protagonista femminile - interpretata da un’eccellente Susanne Wuest -, sia costretta a mostrare il viso completamente bendato per buona parte del film, la sua figura riesce ad inquietare e ad imporsi con prepotente sicurezza, rivelando una personalità apparentemente disturbata e perfida, a sostegno della tesi dei due fratellini. Il film mescola le carte in tavola, facendoci intuire che non tutto è come sembra, concept su cui si basa l’intera vicenda e che darà origine al dramma nel dramma: superata l’ostica fase di stallo iniziale, la pellicola inizia finalmente a decollare grazie ad un’accelerazione del ritmo e quindi della narrazione. L’inaspettata e sconvolgente inversione dei ruoli dà il via ad uno spettacolo feroce, costellato di soprusi e violenze. L’innocente efferatezza viene in qualche modo giustificata da quell’amore incondizionato che lega madre e figli, sentimento disperatamente inseguito ed offuscato dalla non accettazione di una realtà troppo dura e ingiusta. Il carnefice in questo caso non trae piacere dal dolore che infligge ma soffre insieme alla vittima, in uno stato di incosciente lucidità. In un contesto immaginifico lindo e candido, dominato da colori freddi e sostenuto da una fotografia cristallina e raffinata, si consuma l’orrore fisico e psicologico, concepito con distacco chirurgico e dettato dal desiderio di verità e riconciliazione. “Goodnight Mommy” è una pellicola che ostenta pericolosamente un’attenzione morbosa alla forma più che alla sostanza, creando un certo squilibrio tra le varie fasi del film. Nel complesso è un’opera dalle alte pretese, che riesce a rapire lo spettatore con la sua patina sofisticata e affascinante ed é capace di rappresentare la tragedia familiare attraverso l’angoscia spirituale e la violenza fisica. Una delle uscite più interessanti e degne di nota dell’ultimo periodo. Visione impegnata ma caldamente consigliata.
definito come “il più spaventoso mai realizzato”. In effetti le premesse di “Goodnight Mommy” lasciavano ben sperare e le aspettative sono state in parte soddisfatte. “Ich Seh Ich Seh” (titolo originale) è una sorta di horror psicologico costruito attorno ad una dualità tanto ambigua quanto spaventosa, che pone in continuo risalto il confronto tra i protagonisti della storia: tre quelli che vediamo sullo schermo, ma con un dubbio amletico che dovrebbe accompagnarci per tutta la durata della pellicola. “Dovrebbe” perché in realtà la soluzione dell’enigma è semplice e fin troppo precoce: la sceneggiatura non sempre perfetta dissemina infatti indizi rivelatori sin dai primi minuti, eliminando di fatto l’elemento suspance. Minuti iniziali che scorrono con una lentezza esasperata ed esasperante, difficile da digerire ma propedeutica alla comprensione delle dinamiche familiari. Queste vengono messe in scena attraverso una serie di suggestive istantanee, quasi senza soluzione di continuità, che immortalano la vita dei due gemelli (Elias e Lukas Schwarz) e della loro madre, con inquadrature che sottolineano costantemente e con insistenza la ricercatezza estetica dell’opera. La quale tuttavia mette in mostra a tratti una pretenziosità sterile e poco funzionale allo svolgimento narrativo. Tale piglio autoriale apre la strada a scenari eleganti e onirici, immersi in un’atmosfera misteriosa ed angosciante, specchio riflesso della vita dei personaggi. Questi ultimi, isolati in un’enorme villa circondata da una natura incontaminata, esprimono il loro malessere utilizzando più il linguaggio del corpo che le parole: i pochi dialoghi lasciano infatti spazio ad una gestualità espressiva fatta di sguardi indagatori, cenni d’intesa e pose plastiche talvolta indecifrabili. Sebbene
la protagonista femminile - interpretata da un’eccellente Susanne Wuest -, sia costretta a mostrare il viso completamente bendato per buona parte del film, la sua figura riesce ad inquietare e ad imporsi con prepotente sicurezza, rivelando una personalità apparentemente disturbata e perfida, a sostegno della tesi dei due fratellini. Il film mescola le carte in tavola, facendoci intuire che non tutto è come sembra, concept su cui si basa l’intera vicenda e che darà origine al dramma nel dramma: superata l’ostica fase di stallo iniziale, la pellicola inizia finalmente a decollare grazie ad un’accelerazione del ritmo e quindi della narrazione. L’inaspettata e sconvolgente inversione dei ruoli dà il via ad uno spettacolo feroce, costellato di soprusi e violenze. L’innocente efferatezza viene in qualche modo giustificata da quell’amore incondizionato che lega madre e figli, sentimento disperatamente inseguito ed offuscato dalla non accettazione di una realtà troppo dura e ingiusta. Il carnefice in questo caso non trae piacere dal dolore che infligge ma soffre insieme alla vittima, in uno stato di incosciente lucidità. In un contesto immaginifico lindo e candido, dominato da colori freddi e sostenuto da una fotografia cristallina e raffinata, si consuma l’orrore fisico e psicologico, concepito con distacco chirurgico e dettato dal desiderio di verità e riconciliazione. “Goodnight Mommy” è una pellicola che ostenta pericolosamente un’attenzione morbosa alla forma più che alla sostanza, creando un certo squilibrio tra le varie fasi del film. Nel complesso è un’opera dalle alte pretese, che riesce a rapire lo spettatore con la sua patina sofisticata e affascinante ed é capace di rappresentare la tragedia familiare attraverso l’angoscia spirituale e la violenza fisica. Una delle uscite più interessanti e degne di nota dell’ultimo periodo. Visione impegnata ma caldamente consigliata.