Opera controversa e di difficile assimilazione quella di S. Fukui, spesso ed erroneamente paragonata a “Tetsuo” di Tsukamoto. “Pinocchio 964” è una pellicola che sguazza allegramente nel weird, sfociando nel cyberpunk più estremo e disturbante. Il regista confeziona un prodotto certamente peculiare ed unico nel suo genere, utilizzando un linguaggio cinematografico non canonico ed ostico al punto tale da trasformare la visione in un supplizio. Lo scenario è quello della grande metropoli giapponese, dove, tra l'indifferenza della folla, Pinocchio prende coscienza della sua condizione di macchina e, aiutato dalla giovane Himiko, comincerà ad umanizzarsi bramando vendetta verso i suoi scaltri costruttori.
Fukui ritrae uno status sociale e generazionale schiavo del piacere, del consumismo, dove l'unicità dell'individuo perde di significato per dare spazio ad un'artificiosità ostentata e disumana. La metafora, specchio reale della società, per quanto suggestiva e veritiera possa essere, viene messa in scena attraverso uno stile eccessivamente d'impatto che prende il sopravvento sia sulla costruzione narrativa -se così possiamo chiamarla- che sul senso stesso del film. Di chiara matrice post moderna, la pellicola altro non è che un'accozzaglia di immagini, spesso piazzate senza logica alcuna al solo scopo di disorientare lo spettatore. Il regista nipponico sfutta le tematiche tipiche del cyberpunk ottantiano per dare sfogo a certi manierismi di stile davvero fastidiosi: la fotografia è un'altalena di colori, dal verde acido, al bianco e nero, al buio totale; il sonoro è pessimo; il montaggio schizofrenico. Tutto è portato all'estremo e gli innumerevoli episodi deliranti sono talmente diluiti nel tempo da provocare più di uno sbadiglio. La sceneggiatura manca completamente di collante e si ha l'impressione di assistere a una serie di siparietti indipendenti gli uni dagli altri, talvolta anche comici. Non mancano momenti shockanti, come la parte in cui Himiko vomita per circa 10 minuti nei sottopassaggi della metropolitana (!!!). I due protagonisti si dimenano come due forsennati per tutta la durata del film, come se fossero reduci da un rave party ad alto tasso alcolico, in un'atmosfera psichedelica e fantascientifica costellata da grotteschi personaggi. Sebbene la connotazione politica e sociale tipica del genere sia affascinante e di grande interesse, il film pare proprio non funzionare. Contestualizzare la pellicola, accettando i non sense, le scelte stilistiche ed il ritmo ossessivo, serve a poco: il risultato è comunque disastroso. Quello che vorrebbe essere un capolavoro di arte metafisica intellettualoide, è in realtà un'opera altamente pretenziosa, esagerata, pesante ed irritante. 1 ora e 40 minuti interminabili, trascorsi tra lo sconforto per non aver capito nulla e la speranza di una fine veloce ed indolore.
Fukui ritrae uno status sociale e generazionale schiavo del piacere, del consumismo, dove l'unicità dell'individuo perde di significato per dare spazio ad un'artificiosità ostentata e disumana. La metafora, specchio reale della società, per quanto suggestiva e veritiera possa essere, viene messa in scena attraverso uno stile eccessivamente d'impatto che prende il sopravvento sia sulla costruzione narrativa -se così possiamo chiamarla- che sul senso stesso del film. Di chiara matrice post moderna, la pellicola altro non è che un'accozzaglia di immagini, spesso piazzate senza logica alcuna al solo scopo di disorientare lo spettatore. Il regista nipponico sfutta le tematiche tipiche del cyberpunk ottantiano per dare sfogo a certi manierismi di stile davvero fastidiosi: la fotografia è un'altalena di colori, dal verde acido, al bianco e nero, al buio totale; il sonoro è pessimo; il montaggio schizofrenico. Tutto è portato all'estremo e gli innumerevoli episodi deliranti sono talmente diluiti nel tempo da provocare più di uno sbadiglio. La sceneggiatura manca completamente di collante e si ha l'impressione di assistere a una serie di siparietti indipendenti gli uni dagli altri, talvolta anche comici. Non mancano momenti shockanti, come la parte in cui Himiko vomita per circa 10 minuti nei sottopassaggi della metropolitana (!!!). I due protagonisti si dimenano come due forsennati per tutta la durata del film, come se fossero reduci da un rave party ad alto tasso alcolico, in un'atmosfera psichedelica e fantascientifica costellata da grotteschi personaggi. Sebbene la connotazione politica e sociale tipica del genere sia affascinante e di grande interesse, il film pare proprio non funzionare. Contestualizzare la pellicola, accettando i non sense, le scelte stilistiche ed il ritmo ossessivo, serve a poco: il risultato è comunque disastroso. Quello che vorrebbe essere un capolavoro di arte metafisica intellettualoide, è in realtà un'opera altamente pretenziosa, esagerata, pesante ed irritante. 1 ora e 40 minuti interminabili, trascorsi tra lo sconforto per non aver capito nulla e la speranza di una fine veloce ed indolore.
Pubblicato suHorrorMovie