Armando Armand torna a vestire i panni del regista, dopo una
lunga pausa, con un’opera travagliata ed ambiziosa, decisamente non per tutti i
palati. Presentato al ToHorror
Festival 2013, “La Loggia” è un collage
di ventuno cortometraggi molto compatti e
moderni dal punto di vista stilistico e uniti dalla medesima nichilista
espressione concettuale. Il regista
torinese trasferisce su pellicola contenuti di varia natura, che sondano
morbosamente la sfera esistenziale –la perdità d’identità, la droga, il sesso,
la morte – e lo fa in maniera talmente astrusa da sconfinare nel nonsense. I vari capitoli si alternano in modo non del
tutto indipendente, mostrando in taluni casi una sorta di continuità narrativa
la quale non sembra comunque rappresentare l’essenza del film. L’attenzione, infatti, più che alla mera
esposizione/sviluppo della “trama”, è rivolta agli intrecci metaforici e
visionari che si susseguono con delirante
macchinosità. L’approccio filosofico e creativo con cui vengono messe in scena le tematiche trattate si rivela essere un’arma a doppio taglio: se da una parte ciò contribuisce a creare un’atmosfera surreale e suggestiva, sicuramente accattivante, dall’altra rende difficile l’individuazione di una chiave di lettura, appesantendo notevolmente la visione. Ai limiti del weird, la pellicola si snoda attraverso una serie di situazioni oniriche, la cui interpretazione è completamente affidata allo spettatore. Lo sforzo che quest’ultimo deve compiere rischia di distogliere l’attenzione da quello che è il vero potenziale del film, inficiando la resa complessiva. Tra sogno e realtà, assistiamo ad un viaggio allucinante dove i personaggi, in balìa dei propri mali, sembrano agire in una dimensione eterea ed impalpabile. A prendere corpo sono i moti inconsci dei protagonisti la cui mente corrotta e paranoica viene esplorata e violentata attraverso una trasposizione immaginifica corposa, che sembra essere pregna di significati esoterici. Tale approccio pecca in alcuni frangenti di una certa pretenziosità di fondo che oscura e rende sfuggente il significato dell’opera stessa. Tutto ruota attorno alla “loggia”, il cui rimando lynchiano rende l’idea ancora più
criptica ed affascinante. Ma cos’è esattamente? È un luogo incorporeo che varca i confini della nostra dimensione? È una condizione mentale? Uno stato di (in)coscienza? Ognuno potrà vederci ciò che vuole. La recitazione, affidata perlopiù ad attori non professionisti, non è memorabile e richiedeva forse una maggiore cura, soprattutto in virtù della scelta di utilizzare un linguaggio cinematografico assolutamente non convenzionale. Degna di nota la colonna sonora – affidata a Francesco Vittori, Deca, Quiet in The Cave e Alessandra Celletti – che spazia tra generi di diversa matrice adattandosi perfettamente allo scenario farneticante che si va man mano delineando. È certamente apprezzabile e coraggioso il tentativo di realizzare un prodotto che vada oltre gli schemi, dalla forte connotazione ritualistica, dove violenza, erotismo e follia si mescolano in un’atmosfera orrorifica e al tempo stesso elegante. Via via che scorrono i minuti, però, si ha la sensazione di guardare un lungo e frammentato videoclip, ammantato da una patina forzatamente colta e quasi mistica, che finisce per confondere e disorientare lo spettatore con un bombardamento visivo di grande impatto ma difficilmente decifrabile. Va tuttavia premiato l’impegno e la genuina passione di Armando Armand e del gruppo Videpuntozero per l’estro intellettivo che ha dimostrato di possedere, e per il coraggio di cimentarsi in un progetto così complesso ed elitario.
macchinosità. L’approccio filosofico e creativo con cui vengono messe in scena le tematiche trattate si rivela essere un’arma a doppio taglio: se da una parte ciò contribuisce a creare un’atmosfera surreale e suggestiva, sicuramente accattivante, dall’altra rende difficile l’individuazione di una chiave di lettura, appesantendo notevolmente la visione. Ai limiti del weird, la pellicola si snoda attraverso una serie di situazioni oniriche, la cui interpretazione è completamente affidata allo spettatore. Lo sforzo che quest’ultimo deve compiere rischia di distogliere l’attenzione da quello che è il vero potenziale del film, inficiando la resa complessiva. Tra sogno e realtà, assistiamo ad un viaggio allucinante dove i personaggi, in balìa dei propri mali, sembrano agire in una dimensione eterea ed impalpabile. A prendere corpo sono i moti inconsci dei protagonisti la cui mente corrotta e paranoica viene esplorata e violentata attraverso una trasposizione immaginifica corposa, che sembra essere pregna di significati esoterici. Tale approccio pecca in alcuni frangenti di una certa pretenziosità di fondo che oscura e rende sfuggente il significato dell’opera stessa. Tutto ruota attorno alla “loggia”, il cui rimando lynchiano rende l’idea ancora più
criptica ed affascinante. Ma cos’è esattamente? È un luogo incorporeo che varca i confini della nostra dimensione? È una condizione mentale? Uno stato di (in)coscienza? Ognuno potrà vederci ciò che vuole. La recitazione, affidata perlopiù ad attori non professionisti, non è memorabile e richiedeva forse una maggiore cura, soprattutto in virtù della scelta di utilizzare un linguaggio cinematografico assolutamente non convenzionale. Degna di nota la colonna sonora – affidata a Francesco Vittori, Deca, Quiet in The Cave e Alessandra Celletti – che spazia tra generi di diversa matrice adattandosi perfettamente allo scenario farneticante che si va man mano delineando. È certamente apprezzabile e coraggioso il tentativo di realizzare un prodotto che vada oltre gli schemi, dalla forte connotazione ritualistica, dove violenza, erotismo e follia si mescolano in un’atmosfera orrorifica e al tempo stesso elegante. Via via che scorrono i minuti, però, si ha la sensazione di guardare un lungo e frammentato videoclip, ammantato da una patina forzatamente colta e quasi mistica, che finisce per confondere e disorientare lo spettatore con un bombardamento visivo di grande impatto ma difficilmente decifrabile. Va tuttavia premiato l’impegno e la genuina passione di Armando Armand e del gruppo Videpuntozero per l’estro intellettivo che ha dimostrato di possedere, e per il coraggio di cimentarsi in un progetto così complesso ed elitario.