Raphael e Isabel convincono una ragazza, Lisa, ad unirsi a
loro per un viaggetto su uno yatch per un menage a trois. Tutto sembra
procedere per il meglio fino a quando la giovane, privata di ogni effetto
personale, vestiti inclusi, viene legata sulla prua del ponte e violentata. Il
peggio arriverà quando i tre giungeranno su un’ isoletta che pare essere una
vecchia conoscenza della coppia.
Ultima fatica di Marian Dora, autore di nicchia conosciuto
soprattutto per “Melancholie Der Engel”, la pellicola più indigesta e rappresentativa
della sua (finora) breve carriera cinematografica. Visti i rumors sul film in
rete – la pellicola è stata da molti classificata come una delle più
disturbanti degli ultimi anni – e conoscendo la fama del regista tedesco, mi sono
apprestata alla visione di “Voyage To Agatis” (noto anche con il titolo “Reise
Nach Agatis”) piena di aspettative, che purtroppo sono andate deluse. Il film sembra
partire bene con una sequenza piuttosto violenta e d’effetto, ma il piglio
smaccatamente e deliberatamente art house mi ha fatto storcere il naso sin da
queste prime
battute. Il plot è di una semplicità disarmante e viene costruito attraverso una serie di situazioni che mai approfondiscono la storia personale dei protagonisti –comunque intuibile –, rendendo poco interessante la costruzione narrativa, già ridotta all’osso. La pellicola si adagia su ritmi lentissimi con un’evoluzione della trama praticamente inesistente fino ai momenti che precedono l’epilogo. Ogni singola sequenza è dilatata all’inverosimile, con inquadrature poco significative, che dovrebbero essere cariche di simbolismi, probabilmente noti soltanto al regista. Quest’ultimo tenta malamente di dare vita ad un’opera artistica di “alto livello intellettuale”, soffermandosi lungamente su dettagli ed elementi che dovrebbero evocare e trasmettere chissà quale recondito significato (la perdita dell’innocenza? la speranza? la libertà?) ma che molto banalmente causano un enorme senso di noia e smarrimento: a parte le due donne che prendono il sole e qualche profetico indizio, poco e niente accade sulla barca. Così, tra insistite panoramiche che si perdono tra le onde del mare, bambole cieche galleggianti e gabbiani in volo, si arriva al termine di questo “paradisiaco” viaggio intrapreso da Lisa con gioia e fiducia. I sogni della giovane svaniscono definitivamente non appena approdati su un’isola, luogo prediletto del nostro uomo, che si lancia in una caccia dove la preda non ha alcuna via d’uscita. Incoraggiato dalla compagna (probabilmente una sua ex vittima lasciata in vita e colpita dalla sindrome di Stoccolma), il macellaio sfoga la sua disumana follia catturando e torturando brutalmente la povera malcapitata. La ferocia con cui compie l’aggressione è l’unico punto a favore del film ma tutto accade nell’ultimo quarto d’ora, per cui la precedente preparazione risulta davvero estenuante. Il sottofondo musicale mesto, struggente e onnipresente, oltre ad essere ripetitivo e monotono, è a lungo andare irritante, perchè vorrebbe dare enfasi ad un linguaggio cinematografico figurato e metaforico che a fatica s’incastra nella narrazione. Neanche a dirlo, la regia piatta e statica appesantisce ulteriormente la visione così come la voce fuoricampo –presumibilmente della vittima –, la quale si esprime recitando un monologo poetico assolutamente incomprensibile. “Voyage To Agatis” è un prodotto estremamente pretenzioso, che sconvolge per la piattezza espressiva e per l’approccio cervellotico, più che per la violenza mostrata (fisica e psicologica). Certamente una singola scena, sebbene ottimamente realizzata, non è sufficiente per risollevare le sorti di questo misconosciuto film. Consiglio la visione giusto per completezza a chi ha avuto il coraggio di guardare i precedenti lavori del regista, gli altri possono tranquillamente tenersene a debita distanza.
battute. Il plot è di una semplicità disarmante e viene costruito attraverso una serie di situazioni che mai approfondiscono la storia personale dei protagonisti –comunque intuibile –, rendendo poco interessante la costruzione narrativa, già ridotta all’osso. La pellicola si adagia su ritmi lentissimi con un’evoluzione della trama praticamente inesistente fino ai momenti che precedono l’epilogo. Ogni singola sequenza è dilatata all’inverosimile, con inquadrature poco significative, che dovrebbero essere cariche di simbolismi, probabilmente noti soltanto al regista. Quest’ultimo tenta malamente di dare vita ad un’opera artistica di “alto livello intellettuale”, soffermandosi lungamente su dettagli ed elementi che dovrebbero evocare e trasmettere chissà quale recondito significato (la perdita dell’innocenza? la speranza? la libertà?) ma che molto banalmente causano un enorme senso di noia e smarrimento: a parte le due donne che prendono il sole e qualche profetico indizio, poco e niente accade sulla barca. Così, tra insistite panoramiche che si perdono tra le onde del mare, bambole cieche galleggianti e gabbiani in volo, si arriva al termine di questo “paradisiaco” viaggio intrapreso da Lisa con gioia e fiducia. I sogni della giovane svaniscono definitivamente non appena approdati su un’isola, luogo prediletto del nostro uomo, che si lancia in una caccia dove la preda non ha alcuna via d’uscita. Incoraggiato dalla compagna (probabilmente una sua ex vittima lasciata in vita e colpita dalla sindrome di Stoccolma), il macellaio sfoga la sua disumana follia catturando e torturando brutalmente la povera malcapitata. La ferocia con cui compie l’aggressione è l’unico punto a favore del film ma tutto accade nell’ultimo quarto d’ora, per cui la precedente preparazione risulta davvero estenuante. Il sottofondo musicale mesto, struggente e onnipresente, oltre ad essere ripetitivo e monotono, è a lungo andare irritante, perchè vorrebbe dare enfasi ad un linguaggio cinematografico figurato e metaforico che a fatica s’incastra nella narrazione. Neanche a dirlo, la regia piatta e statica appesantisce ulteriormente la visione così come la voce fuoricampo –presumibilmente della vittima –, la quale si esprime recitando un monologo poetico assolutamente incomprensibile. “Voyage To Agatis” è un prodotto estremamente pretenzioso, che sconvolge per la piattezza espressiva e per l’approccio cervellotico, più che per la violenza mostrata (fisica e psicologica). Certamente una singola scena, sebbene ottimamente realizzata, non è sufficiente per risollevare le sorti di questo misconosciuto film. Consiglio la visione giusto per completezza a chi ha avuto il coraggio di guardare i precedenti lavori del regista, gli altri possono tranquillamente tenersene a debita distanza.