Un anatomopatologo (interpretato da Pep Tosar) sta effettuando un'autopsia sul corpo di una ragazza morta in un incidente stradale. Presto l'uomo verrà assalito da istinti animaleschi che lo porteranno ad abusare sessualmente del cadavere, non prima di aver conservato pezzi dei suoi organi e aver scattato delle fotografie.
Pellicola molto controversa, “Aftermath” rappresenta il secondo capitolo della “Trilogia della Morte” ("The Awakening", "Genesis") nonché il più estremo e disturbante del lotto. Il film è stato premiato come miglior cortometraggio al Fanta Asia Film Festival del 1997. Si tratta in effetti di un'opera eccelsa sotto tutti i punti di vista, vera pietra miliare del cinema horror underground. La morte viene stavolta messa in scena attraverso un macabro spettacolo necrofilo dove corpi inermi diventano oggetto di sadica perversione. Il suggestivo e maestoso “Lacrimosa” di Mozart ci introduce ad una storia malata e shockante che inizia con la tragica morte di una ragazza. L'uomo, perfetta e complicata macchina biologica, si trasforma in un inutile contenitore di frattaglie, stuprato nel corpo e nell'anima da un suo stesso simile che trae piacere sessuale attraverso la profanazione dei morti.
Le riprese, effettuate in un vero obitorio, conferiscono al film un taglio quasi documentaristico e, sebbene i cadaveri sembrino veri e le scene autoptiche reali, ciò a cui assistiamo è interamente finzione cinematografica. Eccellenti sono infatti gli effetti speciali, curati con dovizia di particolari e minuziosamente inquadrati dall'occhio della telecamera. La totale mancanza di dialoghi rende difficile la prestazione di Pep Tosar (attore feticcio di Cerdà) il quale, con la sola gestualità e la mimica facciale riesce ad esprimere alla perfezione ciò che probabilmente le parole non avrebbero potuto esplicitare. Folle e dalla mentalità deviata, il medico abusa fisicamente del cadavere della giovane, di cui conosciamo solo il nome: cosa rimane di un corpo privo di vita, steso su un freddo lettino, se non un nome? Tecnicamente ineccepibile, la pellicola gode di una regia raffinata ed elegante e di una fotografia impeccabile, dove il rosso del sangue spicca tra i freddi colori dell'obitorio. Estremamente disturbanti le scene che ritraggono quelli che probabilmente sono le reali fasi di un'autopsia: fa un certo effetto vedere un corpo smembrato e
ricucito a caso senza nessuna accortezza,con il cervello inserito nelle viscere e un panno a sostituirlo nella scatola cranica. Quello sterile ammasso di carne, orrenda e compassionevole visione per qualunque persona sana di mente, viene brutalmente sottomesso divenendo fonte di piacere carnale per il protagonista che impone con disumana brutalità il suo essere vivo. Non c'è spazio per i sentimenti: la pietà, il rispetto, tutto sembra svanire nel momento stesso in cui il cuore cessa di battere. Cinico e beffardo il finale, un vero pugno sullo stomaco. In conclusione, siamo di fronte ad un'opera di altissimo livello, non un semplice splatter ma un film che mescola sapientemente dramma, tragedia, follia e morbosità: un'inquietante e triste rappresentazione della morte fisica e dell'inevitabile morte spirituale.
Pellicola molto controversa, “Aftermath” rappresenta il secondo capitolo della “Trilogia della Morte” ("The Awakening", "Genesis") nonché il più estremo e disturbante del lotto. Il film è stato premiato come miglior cortometraggio al Fanta Asia Film Festival del 1997. Si tratta in effetti di un'opera eccelsa sotto tutti i punti di vista, vera pietra miliare del cinema horror underground. La morte viene stavolta messa in scena attraverso un macabro spettacolo necrofilo dove corpi inermi diventano oggetto di sadica perversione. Il suggestivo e maestoso “Lacrimosa” di Mozart ci introduce ad una storia malata e shockante che inizia con la tragica morte di una ragazza. L'uomo, perfetta e complicata macchina biologica, si trasforma in un inutile contenitore di frattaglie, stuprato nel corpo e nell'anima da un suo stesso simile che trae piacere sessuale attraverso la profanazione dei morti.
Le riprese, effettuate in un vero obitorio, conferiscono al film un taglio quasi documentaristico e, sebbene i cadaveri sembrino veri e le scene autoptiche reali, ciò a cui assistiamo è interamente finzione cinematografica. Eccellenti sono infatti gli effetti speciali, curati con dovizia di particolari e minuziosamente inquadrati dall'occhio della telecamera. La totale mancanza di dialoghi rende difficile la prestazione di Pep Tosar (attore feticcio di Cerdà) il quale, con la sola gestualità e la mimica facciale riesce ad esprimere alla perfezione ciò che probabilmente le parole non avrebbero potuto esplicitare. Folle e dalla mentalità deviata, il medico abusa fisicamente del cadavere della giovane, di cui conosciamo solo il nome: cosa rimane di un corpo privo di vita, steso su un freddo lettino, se non un nome? Tecnicamente ineccepibile, la pellicola gode di una regia raffinata ed elegante e di una fotografia impeccabile, dove il rosso del sangue spicca tra i freddi colori dell'obitorio. Estremamente disturbanti le scene che ritraggono quelli che probabilmente sono le reali fasi di un'autopsia: fa un certo effetto vedere un corpo smembrato e
ricucito a caso senza nessuna accortezza,con il cervello inserito nelle viscere e un panno a sostituirlo nella scatola cranica. Quello sterile ammasso di carne, orrenda e compassionevole visione per qualunque persona sana di mente, viene brutalmente sottomesso divenendo fonte di piacere carnale per il protagonista che impone con disumana brutalità il suo essere vivo. Non c'è spazio per i sentimenti: la pietà, il rispetto, tutto sembra svanire nel momento stesso in cui il cuore cessa di battere. Cinico e beffardo il finale, un vero pugno sullo stomaco. In conclusione, siamo di fronte ad un'opera di altissimo livello, non un semplice splatter ma un film che mescola sapientemente dramma, tragedia, follia e morbosità: un'inquietante e triste rappresentazione della morte fisica e dell'inevitabile morte spirituale.
Pubblicato su HorrorMovie