Un gruppo di infermiere invita ad entrare un uomo che si
aggira all’esterno del loro dormitorio, per assistere ad una scena saffica tra
due colleghe. Una volta dentro, lo sconosciuto,
in preda alle visioni, comincerà ad uccidere le donne, senza apparente motivo.
Parlare delle opere di Koji Wakamatsu non è mai cosa semplice. “Angeli Violati”
(titolo originale "Okasareta Hakui") più
che un film nel senso stretto del termine potrebbe essere definito come un
manifesto di arte visiva che prescinde da un linguaggio espressivo canonico e
di facile assimilazione. Il cineasta giapponese, come aveva fatto nel
precedente “The Embryo Hunts In Secrets”, opta per un bianco e nero che
conferisce alla pellicola un taglio decisamente sofisticato ed elegante,
esaltando il contrasto tra forma e sostanza. La vicenda prende spunto da fatti
di cronaca realmente accaduti ma rivisitati secondo lo stile inconfondibile ed
intransigente del regista. “Angeli Violati” si apre mostrando
una carrellata di foto che ritraggono donne nude o parti del loro corpo, facendoci immediatamente intuire la natura intellettuale dell’opera e richiamando un certo erotismo vouyeristico che ritroveremo in una scena lesbo tra due infermiere. Lo script, piuttosto scarno, si focalizza non tanto sulle azioni quanto sulle reazioni dei personaggi, grazie anche ad accorgimenti tecnici curati in modo maniacale: ritmi lenti e momenti estremamente dilatati, con sprazzi di colore qua e là, fanno emergere la potente e devastante carica emotiva di cui il film è pregno, senza mai oscurare la violenza cruda e gelida che fa capolino in ogni produzione di Wakamatsu. In un’atmosfera surreale, sempre in bilico tra sogno (o meglio incubo) e realtà, si consuma il dramma personale del protagonista, il quale, alle prese con una guerra interiore, sfoga la sua rabbia repressa, mascherata da un imprecisato desiderio di vendetta. Sebbene nel complesso l’intreccio narrativo sia frammentato e spesso disturbato da inserti onirici, è ben palpapile il senso di disagio, un malessere oscuro ed incomprensibile che costringe lo spettatore a ricercare faticosamente una chiave di lettura plausibile. Wakamatsu porta in scena alcuni dei temi a lui cari, costruendo una serie di sequenze più o meno esplicite e brutali atte a mettere in luce il sottotesto socio-culturale della sua poetica, con particolare attenzione all’aspetto misogino. Nel goffo tentativo di affrontare i suoi demoni, il protagonista cede alle avances di una delle vittime, ma, scoraggiato dal disastroso approccio sessuale, si lascerà andare a torture fisiche aberranti, in uno stato di totale incoscienza.Contestualizzando temporalmente il film, non si può fare a meno di notare ed apprezzare il coraggio del regista nell’affrontare tematiche così scabrose per l’epoca in una maniera spigliatamente audace e libera da qualunque forma di censura o pregiudizio. Nel fare ciò Wakamatsu mette in mostra l’autoreferenzialità a cui ci ha abituati, incastrandola in una cornice ideologica compiaciuta e a tratti forzata che, in questo caso, non convince appieno ma risulta al contrario irritante. Ponendo la storia su un piano metafisico, il regista soddisfa abilmente i suoi vezzi artistici abbracciando una certa prolissità immaginifica che, seppur sublime e di grande impatto, appesantisce di molto la visione rendendola fastidiosamente ridondante e limitandone la potenzialità. “Angeli Violati” riflette perfettamente la personalità dell’autore, notoriamente provocatoria, estrema e nichilista, ma potrebbe rivelarsi una visione particolarmente ostica ed impegnativa per chi è non è avvezzo al cinema autoriale di Wakamatsu. Un’opera difficile, imponente e per certi versi arrogante, che senza dubbio delizierà gli estimatori del regista nipponico e lascerà perplesso il pubblico più tradizionalista.
una carrellata di foto che ritraggono donne nude o parti del loro corpo, facendoci immediatamente intuire la natura intellettuale dell’opera e richiamando un certo erotismo vouyeristico che ritroveremo in una scena lesbo tra due infermiere. Lo script, piuttosto scarno, si focalizza non tanto sulle azioni quanto sulle reazioni dei personaggi, grazie anche ad accorgimenti tecnici curati in modo maniacale: ritmi lenti e momenti estremamente dilatati, con sprazzi di colore qua e là, fanno emergere la potente e devastante carica emotiva di cui il film è pregno, senza mai oscurare la violenza cruda e gelida che fa capolino in ogni produzione di Wakamatsu. In un’atmosfera surreale, sempre in bilico tra sogno (o meglio incubo) e realtà, si consuma il dramma personale del protagonista, il quale, alle prese con una guerra interiore, sfoga la sua rabbia repressa, mascherata da un imprecisato desiderio di vendetta. Sebbene nel complesso l’intreccio narrativo sia frammentato e spesso disturbato da inserti onirici, è ben palpapile il senso di disagio, un malessere oscuro ed incomprensibile che costringe lo spettatore a ricercare faticosamente una chiave di lettura plausibile. Wakamatsu porta in scena alcuni dei temi a lui cari, costruendo una serie di sequenze più o meno esplicite e brutali atte a mettere in luce il sottotesto socio-culturale della sua poetica, con particolare attenzione all’aspetto misogino. Nel goffo tentativo di affrontare i suoi demoni, il protagonista cede alle avances di una delle vittime, ma, scoraggiato dal disastroso approccio sessuale, si lascerà andare a torture fisiche aberranti, in uno stato di totale incoscienza.Contestualizzando temporalmente il film, non si può fare a meno di notare ed apprezzare il coraggio del regista nell’affrontare tematiche così scabrose per l’epoca in una maniera spigliatamente audace e libera da qualunque forma di censura o pregiudizio. Nel fare ciò Wakamatsu mette in mostra l’autoreferenzialità a cui ci ha abituati, incastrandola in una cornice ideologica compiaciuta e a tratti forzata che, in questo caso, non convince appieno ma risulta al contrario irritante. Ponendo la storia su un piano metafisico, il regista soddisfa abilmente i suoi vezzi artistici abbracciando una certa prolissità immaginifica che, seppur sublime e di grande impatto, appesantisce di molto la visione rendendola fastidiosamente ridondante e limitandone la potenzialità. “Angeli Violati” riflette perfettamente la personalità dell’autore, notoriamente provocatoria, estrema e nichilista, ma potrebbe rivelarsi una visione particolarmente ostica ed impegnativa per chi è non è avvezzo al cinema autoriale di Wakamatsu. Un’opera difficile, imponente e per certi versi arrogante, che senza dubbio delizierà gli estimatori del regista nipponico e lascerà perplesso il pubblico più tradizionalista.