“Life, Death and Sins” è l’ultima fatica di Davide Pesca,
ideatore e produttore della recente antologia “17 A Mezzanotte”. Regista ed
effettista speciale di numerosi cortometraggi, il giovane filmaker si cimenta
in un mediometraggio dal carattere sofisticato ed elegante. La pellicola è
suddivisa in sette capitoli indipendenti tra loro e privi di costruzione
narrativa. Ciò che immediatamente salta all’occhio è un’onnipresente ricercatezza
di stile che si traduce in una cura maniacale dell’estetica del prodotto, con
particolare attenzione ad ogni minimo dettaglio. Sessualità, decadenza fisica,
scoperta del piacere sono alcuni dei temi affrontati nell’opera e messi in
scena attraverso un piglio quasi teatrale ma a tratti artificioso. L’istrionico autore
opta per un approccio espressivo di stampo “intellettuale” e figurativo, dando
vita ad uno scenario visivo suggestivo
ma non sempre decifrabile. Gli
attori coinvolti si lasciano andare ad esibizioni di varia natura, coadiuvati
da uno score musicale fortemente atmosferico che sopperisce alla mancanza di
dialoghi. Gli effetti speciali, ottimamente realizzati, rappresentano
l’elemento di maggior rilievo nonchè punto forte di ogni episodio. Non sempre ciò
che guardiamo sullo schermo è frutto di finzione filmica: “Chapter III: The
Vice is the Enemy” ci propone infatti un assaggio di body suspension, nel quale
i protagonisti (performer dei “Mutant Squad”) subiscono le “torture” della
pratica in questione, facendosi realmente infilzare da aghi ed uncini in varie
parti del corpo; un pugno nello stomaco per i soggetti più sensibili e non
avvezzi a questo genere di visioni. Ricorrente è la figura femminile, sempre
mostrata in tutto il suo nudo splendore ed intenta ad inscenare atti di autolesionismo
estremo, leitmotiv non solo del film suddetto ma anche di altri lavori del
regista. Se dal punto di vista tecnico ci troviamo di fronte ad un’opera
di tutto rispetto, grazie ad una grande padronanza dei mezzi e ad un’abilità artistica di elevato livello, per quanto riguarda l’aspetto puramente sostanziale la pellicola non risulta pienamente convincente. La patina manieristica che permea ogni frammento dà infatti la sensazione di assistere ad un esercizio di stile fine a sé stesso, che privilegia solo ed esclusivamente il gusto estetico a discapito di una maggior chiarezza dei contenuti, che avrebbero necessitato di un’esposizione più esplicativa ed efficace, anche in assenza di una trama vera e propria: la sensazione, in sostanza, è quella di assistere ad un lungo videoclip. La mancanza di un appiglio logico-narrativo disorienta e confonde lo spettatore ma probabilmente le intenzioni del regista erano proprio quelle di giocare con l’uso di immagini istantanee, orpellate da elementi disturbanti e sconnesse tra loro. “Life, Death and Sins” trova la sua collocazione naturale in un contesto sperimentale e, per certi versi, innovativo, dimostrandosi un prodotto audace che prende le distanze da certo cinema tradizionalista. Consigliato soprattutto ad un pubblico di ampie vedute con la voglia di farsi un trip sanguinario senza troppe spiegazioni; i più conservatori rischiano invece di incappare in una visione ostica e di difficle assimilazione.
di tutto rispetto, grazie ad una grande padronanza dei mezzi e ad un’abilità artistica di elevato livello, per quanto riguarda l’aspetto puramente sostanziale la pellicola non risulta pienamente convincente. La patina manieristica che permea ogni frammento dà infatti la sensazione di assistere ad un esercizio di stile fine a sé stesso, che privilegia solo ed esclusivamente il gusto estetico a discapito di una maggior chiarezza dei contenuti, che avrebbero necessitato di un’esposizione più esplicativa ed efficace, anche in assenza di una trama vera e propria: la sensazione, in sostanza, è quella di assistere ad un lungo videoclip. La mancanza di un appiglio logico-narrativo disorienta e confonde lo spettatore ma probabilmente le intenzioni del regista erano proprio quelle di giocare con l’uso di immagini istantanee, orpellate da elementi disturbanti e sconnesse tra loro. “Life, Death and Sins” trova la sua collocazione naturale in un contesto sperimentale e, per certi versi, innovativo, dimostrandosi un prodotto audace che prende le distanze da certo cinema tradizionalista. Consigliato soprattutto ad un pubblico di ampie vedute con la voglia di farsi un trip sanguinario senza troppe spiegazioni; i più conservatori rischiano invece di incappare in una visione ostica e di difficle assimilazione.