Peter è un discendente di Otto Von Kleist, conosciuto come
il “barone sanguinario” per via delle atroci torture alle quali sottoponeva i
suoi nemici. Determinato a scoprire la
verità sulle sorti del suo antenato, Peter
si reca nel castello dove questi ha vissuto e, insieme ad Eva, un architetto
che partecipa ai lavori di restauro dell’antica dimora, evoca lo spirito del
barone attraverso un incantesimo impresso su una vecchia pergamena. Malauguratamente la formula magica per far tornare
Otto nell’oltretomba andrà distrutta per sempre…
A distanza di un anno dal capolavoro “Reazione a Catena”, da
molti considerato il capostipite del genere slasher, il maestro Mario Bava
realizza questa pellicola dalle tinte gotiche, di fattura appena discreta. “Gli
Orrori del Castello di Norimberga”, il cui titolo originale è “Baron Blood”, fu
girato in Austria e gode di una suggestiva ambientazione, che vede protagonista
assoluto un antico e misterioso castello.
Ormai lontano dal boom dell’horror
gotico, che ha avuto la sua massima diffusione negli anni ‘40/‘50/’60, Bava tenta di ricreare le atmosfere tipiche
del genere, con un inevitabile tocco di modernità e nella regia e nella
fotografia. Fotografia decisamente curata soprattutto nelle scene che si
svolgono in esterni, in particolare durante l’inseguimento notturno del
redivivo barone ai danni di Eva, in cui spiccano azzeccati contrasti
policromatici che creano un affascinante gioco di luci e ombre. Del resto Bava
non è nuovo a questo genere di effetti, apprezzabili in altri film antecedenti
come ad esempio “Sei donne per l’Assassino”.
Lontano da un certo stile classico che caratterizza alcune delle
pellicole più significative del genere (“I Lunghi Capelli della Morte” o “Danza
Macabra” di Antonio Margheriti, per citarne alcuni tra i più conosciuti), Bava
si ritrova a fare i conti con una sceneggiatura molto povera. Al di là del discutibile plot, lo sviluppo della storia è piuttosto lento e,
circa a metà della pellicola, la noia comincia inevitabilmente a farsi sentire. Poche idee e poche situazioni narrative realmente interessanti, scarsi momenti
di tensione e personaggi monodimesionali e privi di spessore psicologico. Tra i vari
attori spicca il nome di Nicoletta Elmi, l’inquietante bambina dai capelli
rossi, qui alla sua seconda collaborazione con Bava (la prima in “Reazione a
Catena”) e volto noto di diverse pellicole horror made in Italy come “Dèmoni” e
“Profondo Rosso”. Non mancano le autocitazioni da film di ben altra caratura
come “La Maschera del Demonio” o “Sei Donne per l’Assassino”, dai quali il
regista romano riprende alcune scene con leggerezza e gusto per l’ironia,
strizzando l’occhio ai suoi fedeli estimatori. Un film che va ovviamente
contestualizzato e che si salva soprattutto grazie ad un certo manierismo
formale che sopperisce in parte alle lacune della storia. Non il migliore di
Bava ma un film che andrebbe comunque visto per “completezza”.