martedì 5 agosto 2014

GLI ORRORI DEL CASTELLO DI NORIMBERGA - M.Bava, 1971

Peter è un discendente di Otto Von Kleist, conosciuto come il “barone sanguinario” per via delle atroci torture alle quali sottoponeva i suoi nemici.  Determinato a scoprire la verità sulle sorti del suo antenato,  Peter si reca nel castello dove questi ha vissuto e, insieme ad Eva, un architetto che partecipa ai lavori di restauro dell’antica dimora, evoca lo spirito del barone attraverso un incantesimo impresso su una vecchia pergamena.  Malauguratamente la formula magica per far tornare Otto nell’oltretomba andrà distrutta per sempre…

A distanza di un anno dal capolavoro “Reazione a Catena”, da molti considerato il capostipite del genere slasher, il maestro Mario Bava realizza questa pellicola dalle tinte gotiche, di fattura appena discreta. “Gli Orrori del Castello di Norimberga”, il cui titolo originale è “Baron Blood”, fu girato in Austria e gode di una suggestiva ambientazione, che vede protagonista assoluto un antico e misterioso castello.
Ormai lontano dal boom dell’horror gotico, che ha avuto la sua massima diffusione negli anni ‘40/‘50/’60,  Bava tenta di ricreare le atmosfere tipiche del genere, con un inevitabile tocco di modernità e nella regia e nella fotografia. Fotografia decisamente curata soprattutto nelle scene che si svolgono in esterni, in particolare durante l’inseguimento notturno del redivivo barone ai danni di Eva, in cui spiccano azzeccati contrasti policromatici che creano un affascinante gioco di luci e ombre. Del resto Bava non è nuovo a questo genere di effetti, apprezzabili in altri film antecedenti come ad esempio “Sei donne per l’Assassino”.  Lontano da un certo stile classico che caratterizza alcune delle pellicole più significative del genere (“I Lunghi Capelli della Morte” o “Danza Macabra” di Antonio Margheriti, per citarne alcuni tra i più conosciuti), Bava si ritrova a fare i conti con una sceneggiatura molto povera.  Al di là del discutibile plot,  lo sviluppo della storia è piuttosto lento e, 

circa a metà della pellicola, la noia comincia  inevitabilmente a farsi sentire. Poche idee e poche situazioni narrative realmente interessanti, scarsi momenti di tensione e personaggi  monodimesionali  e privi di spessore psicologico. Tra i vari attori spicca il nome di Nicoletta Elmi, l’inquietante bambina dai capelli rossi, qui alla sua seconda collaborazione con Bava (la prima in “Reazione a Catena”) e volto noto di diverse pellicole horror made in Italy come “Dèmoni” e “Profondo Rosso”. Non mancano le autocitazioni da film di ben altra caratura come “La Maschera del Demonio” o “Sei Donne per l’Assassino”, dai quali il regista romano riprende alcune scene con leggerezza e gusto per l’ironia, strizzando l’occhio ai suoi fedeli estimatori. Un film che va ovviamente contestualizzato e che si salva soprattutto grazie ad un certo manierismo formale che sopperisce in parte alle lacune della storia. Non il migliore di Bava ma un film che andrebbe comunque visto per “completezza”.