martedì 23 settembre 2014

LAST HOUSE ON DEAD END STREET - R. Watkins, 1977

Terry Hawkins torna in libertà dopo aver trascorso alcuni mesi in prigione per piccoli reati legati alla droga. Una volta fuori decide di guadagnare un po’ di soldi girando film pornografici ma, quando i suoi collaboratori tentano di estrometterlo dal progetto, l’idea originaria si trasforma in qualcosa di molto diverso. Per vendicarsi, infatti, il giovane regista tortura i suoi nemici fino ad ucciderli nei modi più cruenti, filmando il tutto allo scopo di realizzare snuff movies.

Girato nei primi anni ’70 ma uscito solo qualche anno più tardi, “The Last House on Dead End Street” è uno dei primi –se non il primo– film che affronta il tema degli snuff movies. Roger Watkins, celato dietro lo pseudonimo di Victor Janos, partorisce un’opera semplicemente folle e farneticante, divenuta un vero e proprio cult nel panorama horror underground grazie alle numerose voci che si sono rincorse nel corso degli anni: l’irreperibilità della pellicola avvalorò l’idea che le violenze perpetrate fossero reali e non frutto di finzione. L’uscita del dvd nel 2000 ha definitivamente cancellato
ogni dubbio ma è rimasta l’aura di mistero che ha contribuito ad accrescere la fama di questa malsana perla, soprattutto negli anni ’80. Watkins diresse il film in uno stato mentale alterato dalle droghe, che si procurò utilizzando gran parte del (ridicolo) budget: dei 3000 dollari a disposizione solo 800 vennero effettivamente investiti per la produzione del film. Non a caso si ha la sensazione di assistere ad un trip allucinante, perverso e acido; la perfetta trasposizione su pellicola di uno stato psichico disturbato e totalmente avulso dalla realtà.  Il girato originale subì tagli per 30 minuti, oltre che rimaneggiamenti vari al montaggio, ben percepibili durante la visione. La trama, che potrebbe ricordare quella di "The Life And Death Of A Porno Gang" (M. Djordjevic, 2009) altro non è che un pretesto per dipingere con disarmante crudezza il ritratto di una società ricca ma tremendamente annoiata, che compensa il proprio male di vivere partecipando ad “eccitanti” festini a base di torture e umiliazioni. Di contro, vi è la necessità economica che spinge un giovane regista  -non proprio sano di mente- a commettere qualunque tipo di atrocità pur di ricavarne un profitto. La pellicola è ambientata quasi interamente all’interno di un edificio di New York.  La sceneggiatura, frammentata e sconnessa, è malamente sorretta da una regia approssimativa e quasi improvvisata; a questo si aggiunge la scadente prova attoriale dei vari interpreti,  alle prese con battute insignificanti e risate deliranti e irrefrenabili.  Nonostante il disastroso comparto tecnico, la pellicola è lungi dal finire nel dimenticatoio. Ad una prima parte piuttosto disorientante e confusa, che ha più che altro la funzione di  introdurre e preparare lo spettatore alla mattanza finale, segue una conclusione bestiale e sanguinolenta. Infatti la pazzia del protagonista e della sua combriccola prende corpo nei segmenti finali, in un’atmosfera malatissima e surreale dove luci, maschere e uno scenario desolato fanno da sfondo a quello che sembra

essere il teatro degli orrori: smembramenti,  mutilazioni e abusi sessuali  si susseguono in modo brutale, senza sacrificare nessun macabro dettaglio all’occhio della telecamera. A completare l’inquietante quadretto una nenia ipnotica che accompagna le sequenze più scioccanti (“E’ solo un film! E’ solo un film!”), rafforzando quel clima di totale alienazione che si respira dal primo all’ultimo secondo. Di molto in anticipo sui tempi, “The Last House on Dead End Street” sconvolge non tanto per la violenza visiva -ottimamente messa in scena grazie ad una sufficiente dose di gore artigianale - ma soprattutto per l’idea innovativa su cui si basa, in relazione ad un contesto cinematografico  ancora fertile, che iniziava proprio in quegli anni ad aprire la strada a tematiche scottanti e controverse.  Se da una parte il film arranca, a causa di un approccio tecnico/stilistico molto carente, dall’altra spicca per  le geniali intuizioni del regista e la visionaria spontaneità con cui vengono rappresentati certi contenuti, decisamente forti  per l’epoca. Una visione interessante e onirica tutta da riscoprire; una tappa obbligata e fondamentale per ogni amante dell’explotation. 



Pubblicato su HorrorMovie