Gli agenti dell’FBI, dopo anni di serrate indagini,
risalgono all’indirizzo di un efferato serial killer al quale danno la caccia da
molto tempo ma, una volta giunti nell’abitazione di Poughkeepsie, troveranno
soltanto una gran quantità di videocassette. I filmati, girati dallo stesso
assassino, verranno visionati ed attentamente studiati in modo da tracciare il profilo
psicologico dell’uomo.
Risale al 2007 questa misconosciuta pellicola diretta dall’autore di
“Quarantena” (2008), “Devil” (2010) e del recente “Necropolis” (2014). John
Erick Dowdle sembra essere particolarmente affezionato al found footage, sperimentandolo per la prima volta e con
ottimi risultati proprio in “Poughkeepsie Tapes”. Pur essendo costruita sui
clichè tipici del genere, la pellicola in questione presenta elementi
d’innovazione ben sviluppati ed ingegnosamente inseriti in un contesto sempre
dinamico e mai scontato. Abbandonati i classici canoni cinematografici, Dowdle
decide di raccontarci la storia di un sadico assassino in chiave
documentaristica, a metà strada tra
found footage e mockumentary.
Il regista americano è abile a manipolare stili e
generi oramai inflazionati, confezionando un’opera forse unica nel suo genere.
Il film viene montato come se fosse un programma televisivo di cronaca nera con
tanto di interviste, testimonianze e ricostruzioni – tutto ovviamente finto – che ripercorrono i momenti salienti della vita
del massacratore, ribattezzato “The Butcher”. Alla parte puramente investigativa, che include
l’analisi del modus operandi del macellaio e l’esposizione cronologica dei
fatti, si alternano momenti estrapolati dalle videocassette realizzate dalla
mano stessa dell’omicida. Quest’ultimo,
dedito a nefandezze e abusi di ogni genere (stupri, mutilazioni, necrofilia) ha
infatti l’insana passione di filmare ogni fase del proprio piano criminale: dagli
appostamenti, ai rapimenti, alle torture fino all’inevitabile epilogo. Tali
segmenti di vita “reale” (traditi però dalla presenza della colonna sonora) incidono
positivamente sul ritmo narrativo, andando a spezzare i racconti minuziosi e
terrificanti delle persone direttamente coinvolte e degli addetti ai lavori e,
nemmeno a dirlo, sono il punto forte del film. A differenza di ciò che ci si
potrebbe aspettare, la violenza e la brutalità con cui opera il maniaco non
vengono mai messe in scena in modo pornografico bensì attraverso
inquadrature e situazioni che lasciano ampio
spazio all’immaginazione, già morbosamente stuzzicata dai raccapriccianti e
dettagliati resoconti degli agenti. Tale scelta (probabilmente dettata anche da
limiti di budget), nonostante la carenza di episodi particolarmente cruenti e
la quasi totale assenza di effetti speciali, si rivela devastante per lo
spettatore, soprattutto dal punto di vista psicologico. Le immagini amatoriali traballanti, sgranate e in bianco e nero, mostrano timidamente la figura del misterioso uomo,
dalle movenze teatrali e col volto sempre nascosto dietro inquietanti maschere. A rincarare la dose, la spiazzante e sconvolgente
testimonianza di una delle vittime scampate alla morte, liberata dopo molti
anni di prigionia e colpita dalla sindrome di Stoccolma. Alla fine del film è lecito che sorga qualche
dubbio sulla non auteticità dell’intera vicenda, non solo perché gode di un
eccezionale e raro piglio realistico ma anche perché il ritratto del serial
killer potrebbe tranquillamente corrispondere a quello di uno dei tanti
assassini seriali americani realmente esistiti ed esistenti: un film non poi
così tanto film. Seppur il comparto narrativo mostri qualche lacuna e non sia
il massimo della scorrevolezza, l’impatto visivo e il coinvolgimento mentale sono
talmente elevati da sopperire la mancanza. Il merito più grande del regista è
sicuramente quello di aver saputo gestire con arguzia e sapienza tecnica una
storia che è frutto dell’immaginazione
ma dai contenuti plausibili, mettendo bene in evidenza gli aspetti più crudi e
malsani insiti in un individuo dalla personalità deviata e perversa. Una
pellicola disturbante, malata e marcia, capace di risvegliare un certo appetito
voyeuristico ammantato di angoscia e depravazione, che ci schiaffa in faccia un
orrore indicibile e, soprattutto, spaventosamente reale.
Pubblicato su HorrorMovie