Martin è un uomo disturbato a causa degli abusi sessuali
subiti dal padre quando era bambino. L’uomo è ossessionato dal film “The Human
Centipede”, che guarda a ripetizione nella guardiola del parcheggio di cui è
custode. Il suo sogno è quello di realizzare un centipede umano fatto di dodici
persone e, seguendo le istruzioni fornite dal Dr. Josef Heiter, protagonista
del primo episodio, inizierà a mettere in pratica il suo folle piano.
“The Human Centipede: First Sequence” si era fatto egregiamente strada nel marasma
delle uscite dal sapore “torture porn” degli ultimi anni, grazie alla brillante
quanto malata idea che vedeva tre cavie umane impiegate per la realizzazione di
un centipede attraverso un agghiacciante intervento chirurgico. Seppur questo
primo episodio fosse pregno di sequenze impressionanti, il suo sequel è
qualcosa di molto più raccapricciante e disumano. Il regista Tom Six partorisce
un secondo capitolo riuscitissimo, dando prova non solo di eccellenti doti
tecniche ma anche di una fervente fantasia. Utilizzando l’espediente metacinematografico
del “film nel film” il cineasta olandese
amplia le
possibilità di scelta nella costruzione narrativa, generalmente vincolate all’opera prima. “The Human Centipede II” mette brutalmente e concretamente in scena tutti i meccanismi deviati che caratterizzavano il precedente capitolo, reso visivamente più “soft” e al tempo stesso psicologicamente potente proprio per la contenuta esplicitazione della violenza fisica. Il guizzo geniale che sta alla base della trama viene implementato dalla costruzione a regola d’arte di un villain capace di disgustare ancor più delle azioni che commette: un nanerottolo asmatico, grasso ed impacciato, costantemente grondande di sudore, che alla sola vista provoca un senso di inquietudine e ribrezzo. Laurence R. Harvey, nei panni dello spietato Martin, è bravissimo ad esprimere il disagio esistenziale del suo personaggio senza proferire parola, al punto da renderlo quasi palpabile e disturbante ai massimi livelli. La scelta di presentare la pellicola in bianco e nero, più che un tocco pretestuosamente artistico, è un mezzo per rendere ancora più sporca e marcia l’atmosfera del film. I grotteschi siparietti del protagonista alle prese con le manie suicide della madre e sempre intento a curare il suo prezioso album personale dedicato a “The Human Centipede”, sono propedeutici alla follia che esploderà nella seconda parte della pellicola, e indispensabili per delineare una precisa e completa caratterizzazione psicologica dell’uomo. La precisione e la “lucidità” del carismatico Dr. Heiter – personaggio entrato di diritto nella storia delle icone più conturbanti del cinema horror – , sono in netto contrasto con la goffaggine e la tragicomica stravaganza di Martin (i due differiscono anche per l’aspetto fisico totalmente opposto), il quale, nel tentativo di emulare il suo beniamino, orchestra un piano terrificante quanto assurdo. Quando il protagonista inizia a preparare la valigia riempiendola di arnesi vari che nulla hanno a che fare con gli strumenti del chirurgo (martelli, coltelli, forbici, imbuti) lo spettatore pregusta la mattanza e la tensione sale alle stelle. Ciò a cui assistiamo è uno spettacolo disgustoso e stomachevole: denti tirati via a martellate, legamenti tagliati con le forbici, defecazioni di massa, stupri. Nessuna cornice musicale accompagna queste sequenze: l’unica colonna sonora è data dai lamenti angoscianti dei dodici corpi nudi e striscianti attaccati bocca-ano a colpi di scotch e pinzatrice. La pesantezza di tali immagini è davvero difficile da sostenere anche per i più avvezzi al genere; una ferocia indicibile amplificata dalla figura rivoltante di Martin che si lascia andare a depravazioni di ogni sorta con una naturalezza sconcertante.Six utilizza la tecnica dell’accumulo, buttando nel calderone ogni abominio possibile e immaginabile e portando alle estreme conseguenze il concetto stesso di exploitation. L’autore sembra inoltre proporre un approccio satirico che pone l’accento su questioni di carattere sociale, soffermandosi sul pensiero comune e superficiale che un certo tipo di “arte degenerata” (in questo caso un film) possa scatenare gli istinti più bassi e violenti insiti nella natura stessa dell’uomo. Oltre a ciò, tra un sopruso e l’altro, emerge anche una certa vena ironica ed intelligentemente autocitazionista a smorzare o, in alcuni frangenti, ad accentuare i toni della pellicola. L’analisi concettuale dell’opera si staglia comunque sullo sfondo; il film verrà ricordato principalmente per l’alta concentrazione di sadismo e crudeltà. La sfrenata esagerazione che anima questo piccolo capolavoro potrebbe rischiare di trasformarlo in uno sterile contenitore di violenza fine a sé stessa: saper leggere tra le righe aiuterà lo spettatore a concepire questo film come qualcosa che va (anche) oltre la semplice carneficina.“The Human Centipede II” è in definitiva un turbinìo delirante di aberrazioni dove perversione, paranoia e brutalità si aggrovigliano in un abbraccio mortale e mostruoso. E chissà che in questo sconvolgente ed efferato tripudio di sangue ed escrementi il regista non abbia voluto inviarci un messaggio positivo: inseguite sempre i vostri sogni, ad ogni costo!
possibilità di scelta nella costruzione narrativa, generalmente vincolate all’opera prima. “The Human Centipede II” mette brutalmente e concretamente in scena tutti i meccanismi deviati che caratterizzavano il precedente capitolo, reso visivamente più “soft” e al tempo stesso psicologicamente potente proprio per la contenuta esplicitazione della violenza fisica. Il guizzo geniale che sta alla base della trama viene implementato dalla costruzione a regola d’arte di un villain capace di disgustare ancor più delle azioni che commette: un nanerottolo asmatico, grasso ed impacciato, costantemente grondande di sudore, che alla sola vista provoca un senso di inquietudine e ribrezzo. Laurence R. Harvey, nei panni dello spietato Martin, è bravissimo ad esprimere il disagio esistenziale del suo personaggio senza proferire parola, al punto da renderlo quasi palpabile e disturbante ai massimi livelli. La scelta di presentare la pellicola in bianco e nero, più che un tocco pretestuosamente artistico, è un mezzo per rendere ancora più sporca e marcia l’atmosfera del film. I grotteschi siparietti del protagonista alle prese con le manie suicide della madre e sempre intento a curare il suo prezioso album personale dedicato a “The Human Centipede”, sono propedeutici alla follia che esploderà nella seconda parte della pellicola, e indispensabili per delineare una precisa e completa caratterizzazione psicologica dell’uomo. La precisione e la “lucidità” del carismatico Dr. Heiter – personaggio entrato di diritto nella storia delle icone più conturbanti del cinema horror – , sono in netto contrasto con la goffaggine e la tragicomica stravaganza di Martin (i due differiscono anche per l’aspetto fisico totalmente opposto), il quale, nel tentativo di emulare il suo beniamino, orchestra un piano terrificante quanto assurdo. Quando il protagonista inizia a preparare la valigia riempiendola di arnesi vari che nulla hanno a che fare con gli strumenti del chirurgo (martelli, coltelli, forbici, imbuti) lo spettatore pregusta la mattanza e la tensione sale alle stelle. Ciò a cui assistiamo è uno spettacolo disgustoso e stomachevole: denti tirati via a martellate, legamenti tagliati con le forbici, defecazioni di massa, stupri. Nessuna cornice musicale accompagna queste sequenze: l’unica colonna sonora è data dai lamenti angoscianti dei dodici corpi nudi e striscianti attaccati bocca-ano a colpi di scotch e pinzatrice. La pesantezza di tali immagini è davvero difficile da sostenere anche per i più avvezzi al genere; una ferocia indicibile amplificata dalla figura rivoltante di Martin che si lascia andare a depravazioni di ogni sorta con una naturalezza sconcertante.Six utilizza la tecnica dell’accumulo, buttando nel calderone ogni abominio possibile e immaginabile e portando alle estreme conseguenze il concetto stesso di exploitation. L’autore sembra inoltre proporre un approccio satirico che pone l’accento su questioni di carattere sociale, soffermandosi sul pensiero comune e superficiale che un certo tipo di “arte degenerata” (in questo caso un film) possa scatenare gli istinti più bassi e violenti insiti nella natura stessa dell’uomo. Oltre a ciò, tra un sopruso e l’altro, emerge anche una certa vena ironica ed intelligentemente autocitazionista a smorzare o, in alcuni frangenti, ad accentuare i toni della pellicola. L’analisi concettuale dell’opera si staglia comunque sullo sfondo; il film verrà ricordato principalmente per l’alta concentrazione di sadismo e crudeltà. La sfrenata esagerazione che anima questo piccolo capolavoro potrebbe rischiare di trasformarlo in uno sterile contenitore di violenza fine a sé stessa: saper leggere tra le righe aiuterà lo spettatore a concepire questo film come qualcosa che va (anche) oltre la semplice carneficina.“The Human Centipede II” è in definitiva un turbinìo delirante di aberrazioni dove perversione, paranoia e brutalità si aggrovigliano in un abbraccio mortale e mostruoso. E chissà che in questo sconvolgente ed efferato tripudio di sangue ed escrementi il regista non abbia voluto inviarci un messaggio positivo: inseguite sempre i vostri sogni, ad ogni costo!